Lavoro domestico: in aumento tra i giovani italiani. 3500 in Sardegna.

Il lavoro domestico, secondo il Quarto rapporto annuale dell’Osservatorio DOMINA, ha registrato la crescita di addetti under30 in Italia nell’ultimo anno. Sarebbero circa 68mila i giovani impiegati nel settore, per una quota pari al 7,1% del totale degli operatori.

Un dato in controtendenza rispetto agli anni pre Covid-19, dove è stata rilevata una continua diminuzione del numero dei ragazzi impiegati nel settore dell’assistenza.

Nel 2012 i lavoratori domestici italiani under30 erano 14 mila, mentre negli ultimi dieci anni il numero è cresciuto, arrivando ad oltre 20 mila nel 2021 (+41%). Un aumento che probabilmente rappresenta un nuovo modo per entrare nel mercato del lavoro.

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Le donne, secondo l’analisi dell’Osservatorio DOMINA, rappresentano l’83% del totale. Il 55,6% dei domestici italiani è inquadrato come Colf, mentre il 44,4% come Badante. Mediamente guadagnano 3.600 euro, importo medio che deriva sia dall’orario ridotto (il 56% lavora meno di 19 ore a settimana) sia dalla durata dei contratti per un lavoratore su due non supera i 6 mesi. Solo il 6% supera i 10 mila euro di retribuzione annua, del resto solo il 9% lavora almeno 35 ore a settimana. La maggior parte di questi lavoratori si trova nel Sud 46%, dove la disoccupazione giovanile è un fenomeno più radicato.

A livello regionale, il maggior numero di lavoratori domestici di nazionalità italiana si concentra in Sardegna (3,5 mila), addirittura più che in Lombardia (2,4 mila) e Lazio (2 mila). Pur essendo una regione molto meno popolosa rispetto alle altre due, questo dato non deve sorprendere, dal momento in cui, in Sardegna, ben l’81,9% dei lavoratori domestici ha cittadinanza italiana. Se poi andiamo a vedere come cambia l’incidenza di questi lavoratori sul totale lavoratori domestici italiani, vediamo che nelle aree del Sud arriva all’8,5% contro il 6% delle regioni del Nord ed il 6,8% del Centro (media nazionale 7,1%). Le regioni che registrano un primato sono la Calabria (10,8%), la Sardegna (8,9%) e la Sicilia (8,7). Di contro, il fenomeno è molto basso in Veneto (5,1%), Friuli Venezia Giulia (5,5%) ed Emilia Romagna (5,6%).

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