Italia, occupazione sotto la media Ue anche tra i laureati. Oltre sei NEET su 10 senza esperienze di lavoro.

Nonostante il premio occupazionale dovuto all’istruzione, in Italia il tasso di occupazione resta inferiore alla media europea anche tra i laureati (80,8% tra i 25 e i 64 anni contro 85,5% dell’Ue27) oltre che tra i diplomati (70,5% contro 75,7%). Il divario con l’Europa nei tassi di occupazione si amplia tra le giovani generazioni – per tutti i livelli di istruzione – e diventa massimo per chi è appena uscito dal percorso formativo e si trova nella fase di primo ingresso nel mercato del lavoro. Cresce anche il differenziale di genere tra i laureati, nonostante si riduca all’aumentare del titolo di studio.

Nel 2020, il tasso di occupazione della popolazione tra i 25 e i 64 anni ha registrato una riduzione di 0,8 punti, attestandosi al 65,6%: il tasso di occupazione è sceso di 1,1 punti per la popolazione con al massimo un titolo secondario inferiore, di 0,9 punti tra chi ha raggiunto il diploma e di 0,6 punti tra i laureati.

Si registra dunque, nel 2020, un lieve aumento del già marcato “premio” occupazionale dell’istruzione, inteso come maggiore probabilità di essere occupati al crescere del titolo di studio conseguito.

Il tasso di occupazione per coloro che hanno un titolo secondario superiore è 18,8 punti più alto rispetto a quello di chi ha un titolo secondario inferiore (70,5% e 51,7%) e il tasso tra chi ha un titolo terziario supera di 10,3 punti quello osservato per i diplomati (80,8% e 70,5%). In sintesi, il vantaggio di un laureato rispetto a chi ha raggiunto al massimo la licenza media è di 29 punti percentuali.

Dal 2008 a oggi, il vantaggio occupazionale della laurea rispetto al diploma è cresciuto, mentre quello dei diplomati rispetto a coloro che hanno un titolo di studio più basso è diminuito; a ciò ha contribuito la dinamica dei diplomati che, rispetto agli altri, hanno registrato una perdita di posti di lavoro più forte durante la crisi iniziata nel 2008 e una successiva ripresa decisamente più debole.

Nonostante la crescita dell’occupazione all’aumentare del titolo di studio conseguito sia in linea con la dinamica osservata nella media dell’Ue27, le opportunità occupazionali in Italia sono inferiori anche per i livelli di istruzione più elevati. Il tasso di occupazione della popolazione laureata residente in Italia è di circa 5 punti più basso di quello medio europeo (80,8% contro 85,5%): la differenza si riduce al crescere dell’età e si annulla nelle classi di età più mature, dai 50 anni in su.

Un più elevato livello di istruzione contribuisce a ridurre il divario occupazionale di genere, sebbene resti più marcato di quello medio europeo e di quello di altri grandi Paesi europei: il differenziale tra i tassi di occupazione è pari a 32,1 punti tra coloro che hanno un titolo secondario inferiore, scende a 20,2 punti per i diplomati e si riduce a 9,1 punti tra i laureati.

Il vantaggio occupazionale derivante da un più elevato livello di istruzione è più marcato per la popolazione femminile. Nel 2020, le donne con un titolo secondario superiore hanno un tasso di occupazione di 25,5 punti superiore a quello delle coetanee con basso livello di istruzione (vantaggio quasi doppio rispetto a quello degli uomini) e la differenza tra i tassi di laureate e diplomate è di 16,6 punti (vantaggio più che triplo di quello maschile).

Sui “premi” occupazionali incide sia la maggiore spendibilità nel mercato del lavoro dei titoli di studio più alti, sia l’interesse a partecipare al mercato del lavoro che aumenta al crescere del livello di istruzione raggiunto. Quest’ultimo fattore è particolarmente evidente per la componente femminile, per la quale il tasso di inattività scende di oltre 40 punti nel passaggio dalla licenza media inferiore alla laurea.

Nel 2020, il calo tendenziale dei tassi di occupazione è stato praticamente nullo tra gli uomini laureati (-0,1 punti) mentre ha raggiunto il valore massimo tra le donne con basso livello di istruzione (-1,4 punti). Tra gli uomini con medio e basso livello di istruzione e tra le donne con medio e alto livello di istruzione il calo è stato simile, con un tasso in diminuzione di quasi un punto percentuale.

Rispetto al 2019, il vantaggio occupazionale è quindi generalmente stabile. Fanno eccezione gli uomini laureati che vedono crescere il proprio vantaggio occupazionale di un punto percentuale rispetto a coloro che hanno un medio-basso livello di istruzione.

La pandemia del 2020 ha avuto un impatto molto forte sull’occupazione straniera. Il tasso di occupazione si è ridotto per tutti i titoli di studio (-3,9 punti per basso, -3,2 per medio e -4,7 per alto livello di istruzione) più che nel resto d’Europa, in particolare tra i laureati.

In Italia, solo il tasso di occupazione degli stranieri con basso livello di istruzione è superiore alla media europea; quello degli stranieri con un alto titolo di studio è infatti significativamente inferiore e nel 2020 il divario con l’Europa è ulteriormente aumentato.

Nel Mezzogiorno i vantaggi occupazionali dell’istruzione sono superiori rispetto al Centro-Nord. In particolare, tra le residenti nel Mezzogiorno il tasso di occupazione delle donne con un titolo terziario è 24 punti superiore rispetto a quello delle donne con un titolo secondario superiore, contro i 12 punti del Nord e i 15 punti del Centro.

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I tassi di occupazione nel Mezzogiorno restano comunque molto più bassi che nel resto del Paese e quelli di disoccupazione sono molto più alti, anche tra chi ha un titolo di studio elevato.

Nonostante il limitato numero di giovani laureati, in Italia le loro prospettive occupazionali sono relativamente più deboli rispetto alla media europea: nel 2020, la quota degli occupati tra i 30-34enni laureati è stimata al 78,3%, contro un valore medio Ue27 dell’86,5%.

Tra i più giovani, la differenza Italia-Ue nei tassi di occupazione dei laureati supera dunque gli 8 punti (meno di 5 nella popolazione laureata di età 25-64 anni), evidenziando un mercato del lavoro che assorbe con difficoltà e lentezza anche il giovane capitale umano più formato. Tra i diplomati, il tasso di occupazione dei 30-34enni è pari a 68,2% in Italia e a 79,7% nella media Ue, con una differenza ancora maggiore rispetto a quella dei laureati, pari a 11,5 punti (la differenza si attesta a 5,2 punti nella popolazione diplomata di età 25-64 anni).

Tra i giovani il vantaggio occupazionale della laurea rispetto al diploma è molto evidente. Il tasso di occupazione dei 30-34enni laureati è di 10 punti più elevato di quello dei diplomati, una differenza marcatamente cresciuta nel corso degli anni.

Molto rilevante, sebbene inferiore a quello medio europeo, anche il vantaggio occupazionale dei giovani con diploma rispetto a coloro che non hanno raggiunto questo titolo (15,7 punti).

Sebbene per le giovani il vantaggio occupazionale della laurea rispetto al diploma sia più elevato rispetto alle donne più anziane, il tasso di occupazione femminile resta significativamente inferiore a quello maschile (74,8% contro 83,9% dei laureati; -1,1 e +0,5 punti la variazione tendenziale del 2020 sull’anno precedente).

La ridotta domanda di lavoro nel Mezzogiorno, anche per i livelli di istruzione più elevati, determina il marcato divario territoriale nella quota di laureati occupati, che addirittura si amplifica tra i laureati più giovani. Nel 2020, la differenza tra Nord e Mezzogiorno nei tassi di occupazione dei 30-34enni laureati supera i 22 punti, nonostante la progressiva riduzione osservata dal 2014.

Nel 2020, il tasso di occupazione delle persone tra i 25 ed i 64 anni, laureate nelle aree umanistica e dei servizi, è pari al 75,2%, in quelle socio-economica e giuridica sale all’80,1%, si attesta all’84,5% per gli ambiti scientifico e tecnologico, le cosiddette lauree STEM, e raggiunge il massimo valore per le lauree nell’area medico-sanitaria e farmaceutica (86,4%).

L’attenzione alla scelta dell’indirizzo di studio universitario trova dunque ragione nelle importanti differenze che si osservano nei tassi di occupazione dei laureati per area disciplinare; differenze che, per alcuni indirizzi, si accentuano tra le donne.

Il divario di genere nei ritorni occupazionali – a sfavore delle donne – è particolarmente ampio nelle discipline socio-economiche e giuridiche e in quelle tecnico-scientifiche (STEM), con un tasso di occupazione che è 10 punti inferiore a quello maschile. La forte differenza di genere nel tasso di occupazione delle lauree STEM non deriva, tuttavia, solamente dalla sottorappresentazione femminile nelle aree disciplinari STEM a maggiore occupabilità, come nel caso delle laureate STEM in informatica, ingegneria e architettura (pari a una su due contro ben quattro laureati STEM su cinque); un forte divario si osserva infatti anche a parità di macro area STEM, “scienze e matematica” e “informatica, ingegneria e architettura”.

Nel 2020, il tasso di occupazione dei laureati ha registrato un calo tendenziale superiore al punto percentuale sia nell’area umanistica e servizi (-1,5), sia in quella socio-economica e giuridica (-1,1); più lieve la contrazione del tasso di occupazione nell’area medico-sanitaria e farmaceutica (-0,4). Un leggero aumento si osserva invece tra i laureati dell’ambito scientifico e tecnologico, le cosiddette lauree STEM (+0,9), aumento che tuttavia coinvolge la sola componente maschile (+1,6).

Nel 2020, ancora, si è arrestata la leggera ripresa occupazionale dei 18-24enni che hanno abbandonato gli studi senza raggiungere un titolo secondario superiore (chiamati ELET, Early Leavers from Education and Training,) avviatasi dal 2015 dopo la crisi economica del 2008: la quota di ELET occupati scende al 33,2%, un valore di 18 punti inferiore a quello del 2008. Poiché nella media Ue27 il tasso di occupazione degli ELET è del 42,4%, il differenziale con l’Europa è superiore ai 9 punti, molto più ampio rispetto al 2008.

Il differenziale Italia-Europa è aumentato rispetto al 2008 anche per la quota di ELET che vorrebbero lavorare (13,5 punti): in Italia un ELET su due dichiara di voler lavorarei a fronte di uno su tre in Europa.

Il tasso di occupazione delle giovani che hanno abbandonato gli studi è decisamente inferiore a quello dei coetanei maschi (21,1% contro 40,5%). Il vantaggio femminile in termini di minori abbandoni scolastici precoci si annulla dunque quando si confronta la quota di chi, avendo abbandonato gli studi, è riuscito a inserirsi nel mondo del lavoro. Le giovani ELET rischiano dunque di trovarsi in una condizione di maggiore esclusione sociale rispetto ai maschi ELET.

Il divario di genere nei tassi di occupazione dei giovani che hanno abbandonato gli studi sale a 19,4 punti, a causa della riduzione molto marcata del tasso di occupazione delle ragazze (-5,0 contro -1,3 punti dei ragazzi). Questo dato conferma il maggior impatto della pandemia Covid-19 sull’occupazione femminile.

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Sul territorio si riduce invece il divario – a sfavore del Mezzogiorno – nell’occupabilità dei giovani ELET: i loro tassi di occupazione diminuiscono più nel Nord e nel Centro, per effetto del maggior impatto della pandemia sull’occupazione in tali aree del Paese, anche in termini di restrizioni nelle attività e negli spostamenti. Nonostante ciò, i divari territoriali restano comunque molto ampi.

Nel Mezzogiorno alla più elevata incidenza di giovani che abbandonano precocemente gli studi si associa anche un più basso tasso di occupazione (23,3%), quasi 20 punti percentuali inferiore a quello del Nord (42,5%) e del Centro (40,1%), dove il mancato proseguimento degli studi si accompagna, in generale, a un numero decisamente più consistente di giovani occupati.

Nel 2020, il tasso di occupazione degli ELET è calato quasi esclusivamente tra gli stranieri (7,1 punti, -0,7 punti tra gli italiani), pur restando più elevato di quello degli italiani (37% contro 32%).

La mancanza di opportunità educative riduce la probabilità che il giovane riesca a sottrarsi a una futura condizione di disagio economico, poiché una bassa istruzione implica una maggiore difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro.

Nel 2020, si dichiara occupato già dopo pochi anni dall’uscita dagli studi il 49,3% dei giovani che hanno conseguito il diploma contro il 33,2% dei coetanei che hanno abbandonato gli studi. Ma il basso tasso di occupazione di questi ultimi non deriva da uno scarso interesse a entrare nel mondo del lavoro quanto dalla reale difficoltà a trovare un’occupazione. Il tasso di mancata partecipazione, cioè la quota di non occupati tra quanti sono disponibili a lavorarei, è infatti significativamente maggiore tra gli ELET (57,2%), rispetto ai diplomati (42,3%).

L’impatto della pandemia sull’occupazione dei 18-24enni è stato tuttavia più forte per i diplomati rispetto ai coetanei ELET (-4,3 e -2,2 punti le rispettive variazioni tendenziali dei tassi di occupazione; +3,4 e +1,0 punti quelle dei tassi di mancata partecipazione). Questo risultato è probabilmente associato alla diversa lunghezza del periodo trascorso dall’uscita dagli studi che caratterizza i due collettivi. Una parte consistente dei giovani diplomati 18-24enni ha infatti appena terminato il ciclo di studi e la pandemia ha ridotto drasticamente le loro opportunità di ingresso nel mercato del lavoro. I giovani appena entrati nel mercato del lavoro sono i primi a subire le dirette conseguenze del ciclo economico, sono cioè i primi a vedere ridotte le opportunità occupazionali durante un periodo di congiuntura negativa e i primi a recuperare in presenza di una ripresa economica.

I giovani non più inseriti in un percorso scolastico/formativo e neppure impegnati in un’attività lavorativa, i cosiddetti NEET (Neither in Employment nor in Education and Training), pur avendo caratteristiche e motivazioni di base eterogenee, hanno in comune una condizione che, se protratta a lungo, può comportare il rischio di concrete difficoltà di inclusione nel mondo del lavoro. L’attenzione a questo collettivo di giovani è molto alta a livello europeo e una recente raccomandazione del Consiglio dell’Unione europea – COM(2020) 277 – ha ridefinito i contorni del fenomeno, le forti criticità e le possibili azioni di intervento.

Nel 2020, in Italia, la percentuale di individui non occupati né in istruzione o formazione sul totale dei 15-29enni cresce di +1,1 punti dopo il progressivo calo registrato dal 2014, attestandosi al 23,3% (2 milioni e 100mila giovani). In Europa l’indicatore cresce nella stessa misura (+1,1 punti) e raggiunge il valore medio del 13,7% confermando la stessa distanza con il nostro Paese (9,6 punti). L’Italia continua a registrare la più alta quota di NEET nella Ue27, decisamente più elevata di quella osservata in Spagna (17,3%), Francia (14,0%) e Germania (8,6%).

La crescita della quota di NEET è stata massima tra i giovani con un titolo secondario superiore (+2,0 punti rispetto al 2019), leggermente inferiore tra chi possiede un titolo terziario (+1,2 punti), praticamente nulla tra i giovani con basso livello di istruzione. Anche nella media Ue27 la crescita dei NEET è stata superiore tra i titoli di studio medio-alti.

Nel 2020, l’incidenza dei NEET è pari al 21,8% tra i giovani con al più un titolo secondario inferiore, al 25,4% tra chi ha un titolo secondario superiore e al 20,7% per coloro che hanno conseguito un titolo terziario. Tuttavia, se la quota di NEET viene calcolata escludendo dal denominatore i giovani ancora in istruzione o formazione, l’incidenza dei NEET tra chi ha al massimo un titolo di studio secondario inferiore (63%) risulta molto più elevata di quella calcolata tra chi ha un titolo secondario superiore (42,9%), sottolineando l’indubbio vantaggio occupazionale di possedere almeno un diploma.

NEET in aumento soprattutto tra i cittadini non italiani. Nel 2020, la quota di NEET è aumentata sia tra i giovani uomini che tra le giovani donne. Resta dunque invariata la differenza di genere, con un’incidenza di NEET maggiore tra le donne (25,4% contro 21,4%), indipendentemente dal livello di istruzione posseduto.

La crescita dei NEET registrata nel 2020 ha interessato esclusivamente il Nord e il Centro (+2,3 e +1,8 punti), con l’unica eccezione dei giovani con al più un titolo secondario superiore che aumentano anche nel Mezzogiorno. Il divario territoriale – rimasto piuttosto stabile negli anni – scende dai 18,5 punti del 2019 ai 15,8 punti del 2020, attestando l’incidenza dei NEET nel Mezzogiorno al 32,6% (valore doppio rispetto a quella del Nord, 16,8%).

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L’aumento nell’incidenza dei NEET ha riguardato in misura molto più forte i cittadini stranieri (+4,0 punti) rispetto agli italiani (+0,8 punti), interessando anche i giovani con basso livello di istruzione. Nel 2020 l’incidenza dei NEET risulta pari a 35,2% tra gli stranieri e a 22,0% tra gli italiani. Su questa forte differenza incide la componente femminile: 46,1% è la quota di NEET tra le straniere e 22,9% tra le italiane (23,7% e 21,2% le rispettive quote degli uomini).

Con la pandemia meno NEET alla ricerca attiva di lavoro. L’impatto della pandemia Covid-19 e le conseguenti limitazioni agli spostamenti e alle attività hanno portato a una riduzione della quota dei NEET alla ricerca attiva di lavoro (disoccupati), scesa al 32,8% (-4,0 punti). Di contro, sono aumentate le quote di NEET costituite dalle forze di lavoro potenziali (33,7%, +2,6 punti) e dagli altri inattivi, cioè da coloro che non cercano un impiego e non sarebbero disponibili a lavorare (33,5%; +1,5 punti). Questi ultimi, che rappresentano gli inattivi più lontani dal mercato del lavoro, sono più frequentemente NEET di genere femminile, probabilmente perché con responsabilità familiari di cura e assistenza a bambini o adulti non autosufficienti.

L’inattività è massima tra le donne con basso titolo di studio e si riduce se le giovani donne possiedono un titolo di studio medio-alto. L’inattività è minima tra i NEET del Mezzogiorno, tra i quali ben il 72,3% (58,0% nel Nord e 63,8% nel Centro) si dichiara interessato al lavoro (disoccupati o forze di lavoro potenziali), a indicare che in quest’area del paese le minori opportunità lavorative pesano di più sulla condizione di NEET. La quota di inattivi tra i giovani con al più un titolo secondario inferiore è pari al 41,4% mentre scende di oltre 10 punti tra i NEET con medio-alto livello di istruzione. Infine, la maggiore inattività dei NEET stranieri rispetto agli italiani deriva dalla forte differenza della componente femminile.

Tra i NEET, quasi un disoccupato su due lo è da almeno un anno. Nel 2020, il 44,3% dei NEET disoccupati è alla ricerca attiva di lavoro da almeno 12 mesi, una quota più bassa di quella del 2019 (49,9%) ma più alta rispetto al 2008 (41,5%), anno in cui è esplosa la crisi economica che ha determinato un aumento dei disoccupati di lunga durata (in particolare tra i livelli di istruzione medio-bassi).

I NEET disoccupati (ossia che cercano attivamente lavoro) sono più attenti alle dinamiche del mercato del lavoro e dunque più facilmente integrabili. Tuttavia, se la ricerca di un’occupazione si prolunga nel tempo cresce il rischio di transito all’area dell’inattività. I NEET disoccupati da 12 mesi o più sono 305mila e risiedono prevalentemente nelle regioni meridionali, dove maggiori sono le difficoltà nel trovare un lavoro. Nel Mezzogiorno, il 55,1% dei NEET disoccupati lo è da almeno 12 mesi, 40,3% nel Centro e 30% nel Nord.

La quota di disoccupati di lunga durata è più contenuta al crescere del livello di istruzione (51,5% per bassi titoli di studio, 43,4% per i medi e 33,6% per gli alti). Tuttavia questa stessa quota risulta pari al 50% per tutti i livelli di istruzione quando il confronto esclude coloro che hanno conseguito il titolo da meno di 1 anno e sui quali dunque non può essere valutata ancora l’incidenza di disoccupazione di lunga durata (pari al 13% di coloro che hanno un titolo secondario superiore e al 38% di chi ha un titolo terziario).

Oltre sei NEET su 10 senza esperienze di lavoro. Il rischio più grande per i NEET, non più inseriti in un percorso scolastico o formativo, è quello di restare inoccupati per un periodo molto lungo, determinando una condizione critica perché più difficilmente reversibile. La maggioranza dei NEET (62,5% nel 2020) è senza esperienze di lavoro, si tratta di circa 1 milione e 313 mila giovani. La mancanza di esperienze è particolarmente evidente nel Mezzogiorno e tra le donne. Peraltro, tra i NEET senza esperienze, più di sei su 10 hanno conseguito il titolo di studio da almeno tre anni, quota che sale all’87,3% tra chi ha al più un titolo secondario inferiore, ma scende al 53,7% tra chi possiede il diploma e al 18,8% tra chi ha un titolo terziario.

Per il 40,3% dei NEET che hanno avuto almeno un’esperienza lavorativa, il tempo trascorso dall’ultimo lavoro è pari a 12 mesi o più. Questa incidenza è maggiore tra coloro che appartengono ai gruppi più vulnerabili: i residenti del Mezzogiorno (43,7% contro 36,5% dei residenti del Nord), le donne (47,6% contro 33,3% degli uomini), gli stranieri (47,7% contro 39% degli italiani) e tra coloro che hanno un basso livello di istruzione (45,6% contro 35,0% di chi possiede un titolo terziario).

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