Demografia e natalità in calo nel “Belpaese”. Pensioni sempre più posticipate per i giovani.

L’Italia perde sempre più giovani e, in prospettiva, la forza produttiva del futuro. Dal 2014, ovvero in meno di un decennio, si sono persi circa 1,56 milioni di residenti e, come ricordato recentemente dal Presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo, nel corso di una sessione del Meeting di Rimini, “nel 2022 si sono registrate 393mila nascite, sotto soglia 400mila” e nel primo trimestre 2023 sono nati 91300 bambini/e”.

Numeri da quasi estinzione nel lungo periodo che potrebbero portare ad una ulteriore perdita di 3 milioni di italiani nei prossimi due decenni. Nel frattempo la sola popolazione over 65 continua ad aumentare mettendo in estrema crisi il sistema pensionistico. Un sistema che potrebbe, a breve, assumere i contorni di un vero e proprio sistema piramidale visto che in alcune province italiane si producono più pensionati che occupati e, secondo alcune ricerche, tra 20 anni il rapporto 1 pensionato 1 lavoratore potrebbe essere una condizione non troppo remota.

E gli effetti continuano a vedersi anno dopo anno. Solo nel 2022 sono stati 827.339 i nuovi pensionati (per un importo medio mensile alla decorrenza di 1.161 euro) e ben 174.610 quelli del periodo gennaio-marzo 2023 (1.111 euro in media). Per quanto riguarda le singole categorie, le pensioni con decorrenza 2022 sono state 289.177 (pensioni di vecchiaia), 249.449 pensioni anticipate, 48.242 pensioni di invalidità e 240.471 pensioni ai superstiti.

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Nel primo trimestre 2023, invece, 65.137 sono stati i pensionamenti per vecchiaia, 51.583 per il pensionamento ancipato, 8.167 per invalidità e 49.723 per quelle destinate ai superstiti.

Dati per ampi versi attesi e che non destano particolare sorpesa, come non riserva attonimento alcuno l’evidente calo demografico e l’assenza di interventi d’urto nel settore della gioventù in Italia. Lasciamo perdere il fumo negli occhi del “decreto lavoro” che ha previsto la decontribuzione per 12 mesi per l’assunzione di giovani e la riserva del 15% per i concorsi pubblici per i volontari del Servizio Civile Universale.

Bisognerebbe, quindi, puntare a politiche d’urto prevalentemente su giovani e donne ma, come ben sappiamo, dalle parti degli ultimi esecutivi nazionali si continua a ragionare per slogan e politiche tokeniste verso tali segmenti della popolazione.

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Calo della popolazione, ancora, che solo in parte potrà essere compensato dalla presenza straniera sulla quale molte sigle partitiche quotidianamente menano gli attributi, dimenticandosi di esplicitare sostanziali politiche di integrazione. D’altronde, il senso critico, l’esperienza lavorativa e i titoli di studio (contrariamente alla realtà del mondo del lavoro) non è richiesta agli esponenti politici italiani, troppo tutelati dal dettato costituzionale.

Nel frattempo nel Sud Italia, attualmente, il rapporto tra lavoratori e pensionati non è decisamente positivo e, nell’arco di un paio di lustri, potrebbero non esserci abbastanza lavoratori per pagare le pensioni, facendo, di fatto, saltare il sistema pensionistico italiano.

Si parla addirittura di giovani di oggi che potrebbero andare in pensione a 74 anni, come ricordato recentemente dalla presidente del Consiglio Nazionale dei Giovani, Maria Cristina Pisani, e dall’EURES per i quali è sempre meno procrastinabile l’apertura “di un dibattito più approfondito sulle questioni previdenziali, che tenga conto delle esigenze delle giovani generazioni”.

“La questione demografica e il passaggio al sistema ‘contributivo puro’ – ricordava nell’occasione la Pisani – mettono ulteriormente a rischio la sostenibilità del nostro sistema pensionistico. Questa tendenza impone ai cittadini di lavorare più a lungo per ricevere pensioni meno generose rispetto alle generazioni precedenti”.

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Senza contare la combinazione della nota discontinuità lavorativa e delle retribuzioni basse per i lavoratori under 35 (nel solo 2021 remuneari con una media di 8824 euro, ovvero il 40% della retribuzione media complessiva) che determineranno, in assenza di politiche d’urto, un ritiro dal lavoro solo per vecchiaia e con importi pensionistici prossimi a quello di un assegno sociale.

Numeri alla mano, ancora, secondo l’ultimo rapporto Eurostat, la spesa pensionistica in Italia rappresenta il 17,6% del PIL nel 2020, il secondo più alto nell’UE27 dopo la Grecia, e molto superiore alla media dell’UE27 del 13,6%. Nonostante ciò per i giovani entrati nel mondo del lavoro nel 2020 all’età di 22 anni si prevede il raggiungimento dell’età pensionabile solo a 71 anni, il dato più alto tra i principali Paesi europei.