Ucraina, IFIMES: “Un test per UE e NATO.

A distanza di 11 giorni dall’inizio dell’aggressione russa all’Ucraina, l’IFIMES – l’Istituto internazionale per gli studi sul Medio Oriente e sui Balcani – ha preparato un’analisi puntuale sugli aspetti più salienti della crisi ucraina.

Un tragico evento senza paragoni nella storia europea moderna dopo la fine della Guerra Fredda, tralasciando l’aggressione della NATO alla Serbia (anch’essa una Nazione sovrana) con l’operazione Allied Force condotta ‘democraticamente’ dalle forze occidentali nella primavera-estate 1999.

Un’invasione, secondo l’istituto, che rappresenta una consapevole violazione di una serie di norme internazionali che regolano le relazioni tra Stati sovrani e indipendenti, da parte del regime di Vladimir Putin.

Lo Stato attaccato, l’Ucraina, è membro delle Nazioni Unite (ONU), del Consiglio d’Europa (CoE) e Stato partecipante all’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE). Appartenenza condivisa dalla Federazione Russa, Stato membro delle stesse organizzazioni internazionali. Importante sottolineare, per l’IFIMES, la cooperazione che la NATO ha sviluppato con questi due Paesi: il Consiglio NATO – Russia e la Commissione NATO – Ucraina.

È anche importante tenere a mente che l’Ucraina è stata membro delle Nazioni Unite già durante la Guerra Fredda, come parte dell’Unione Sovietica. Dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica, l’Ucraina e la Russia hanno stabilito una cooperazione reciproca e di vicinato che è stata produttiva e pacifica. Il suo apice è stato raggiunto con l’accordo di Minsk nel 1993, con la consegna da parte dell’Ucraina del suo enorme arsenale nucleare alla Federazione Russa che ha sua volta offrì in cambio assicurazioni sulla sua sicurezza e indipendenza. In aggiunta a ciò, la firma del memorandum di Budapest del 1994, sotto gli auspici dell’OSCE, portò Bielorussia, Kazakistan e Ucraina nel Trattato di non proliferazione (TNP).

LEGGI ANCHE:  The State of the Union: più di 100 decisori si riuniscono a Firenze per discutere del futuro dell'Europa.

Dal punto di vista prettamente militare e politico, secondo l’istituto, l’attacco sarebbe da ritenersi come la continuazione della politica di destabilizzazione dell’area tra la Russia e l’UE/NATO da parte di Putin che si manifesta principalmente nella creazione di conflitti mediante l’uso di un’attività combinata politica, militare e ibrida. 

Una strategia capace di rispolverare le “vecchie” dottrine geopolitiche di Breznev (che giustificano gli interventi in altri Stati socialisti) con l’obiettivo di ribadire il messaggio che la Russia non ha ceduto ad alcuna tendenza imperialista. Gli esempi più eccezionali , in tale contesto, l’attacco alla Georgia nel 2008 con la conseguente proclamazione dell’indipendenza dell’Abkhazia e dell’Ossezia meridionale, l’annessione della Crimea nel 2014 e l’attuale proclamazione dell’indipendenza delle regioni del Donbas e di Lugansk. Casi ai quali si aggiunge anche l’occupazione di fatto della Transnistria, dove le truppe ex sovietiche – e l’attuale russa – sono stazionarie fin dai tempi della Guerra Fredda sul territorio della Moldova. 

Scenari geopolitici dove si è verificato lo stesso ‘leit motiv’ a giustificazione dell’azione militare e politica russa, ovvero la protezione della popolazione russa, vessata e maltrattata da parte delle politiche discriminatorie attuate dagli Stati ospitanti.

Tuttavia, la comunità politica internazionale , come ampiamente dimostrabile, ha da sempre rigettato questo approccio, sostenendo che il vero obiettivo del regime di Putin sono i regimi democratici. La democrazia come tipo di governo è ciò che l’autocratico presidente russo non può sopportare. Putin, secondo le potenze occidentali, intende introdurre lo zarismo come modalità di governo nel mondo globalizzato del 21° secolo, utilizzando la repressione dei media indipendenti e della società civile. Azione che si avvale, inoltre, della strumentalizzazione della coesistenza multietnica e multiculturale degli stati eterogenei come l’Ucraina, dove convivono minoranze radicate.

Inoltre, da quanto emerge dall’analisi dell’istituto IFIMES, la tattica della sorpresa e della rapida conquista dell’Ucraina e delle sue istituzioni con la dottrina dello shock non ha funzionato. Una lezione molto importante che può dare qualche spiegazione leggendo i rapporti di guerra in Ucraina che denotano il morale basso dell’esercito occupante e l’inadeguatezza dell’esercito russo per brevi operazioni di terra. Per questo motivo, un’acquisizione militare dell’Ucraina non è possibile e la Russia non sembrerebbe avere mezzi adatti per uno scenario da guerriglia. Ed è esattamente la guerriglia che si svilupperà in tutta l’Ucraina per l’IFIMES.

Se l’aggressione e l’occupazione in ucraina continuerà, si potrebbe assistere ad una vietnamizzazione dell’Ucraina. 

LEGGI ANCHE:  Politica di Coesione, Christian Solinas al Parlamento europeo: "Un’Europa con regioni zoppe è un’Europa meno forte".

Nonostante lo squilibrio delle forze in campo, al momento dimensionate su un rapporto 1 a 10 a favore della Federazione Russa, sarebbero da considerare scarse le possibilità di successo per l’aggressore. Vietnam e Afghanistan potrebbero essere, quindi, gli esempi più prossimi all’attuale scenario militare.

Non si dovrebbe escludere neanche la possibilità che la Russia e le altri parti in causa decidano di incoraggiare la formazione di truppe paramilitari e l’ingaggio di milizie di mercenari, consentendo alle forze in campo di prendere le distanze da eventuali atrocità e crimini commessi nel corso del conflitto.

Rapida, coordinata e tempestiva, ancora, per il rapporto IFIMES, è stata la risposta dell’UE. La portata delle sanzioni alla Russia e Bielorussia è stata ampia e diversificata, confermando quanto sosteneva Lenin più di cento anni fa, ovvero che “la politica è economia concentrata”. 

Gli oligarchi russi lo sanno bene ed è questione di tempo, secondo l’IFIMES, per una ipotetica rivolta contro Putin. 

LEGGI ANCHE:  La guerra in Ucraina non finirà presto: un altro miliardo di dollari dagli USA.

E’ chiaro ora che l’UE è diventata un attore internazionale coeso, dimostrando che con l’uso del soft power delle sanzioni è possibile ottenere importanti risultati. Lo scenario attuale, però, porterà gli Stati membri ad aumentare le proprie spese militari, con buona pace delle criticità sociali nei rispettivi Paesi e con indubbie ricadute per le principali lobby e Holding coinvolte nel settore della Difesa sparse nell’UE.

L’ intervento del presidente ucraino Volodymyr Zelensky al Parlamento europeo e la sua firma sulla richiesta dell’Ucraina di adesione all’UE, inoltre, daranno nuovo slancio alla politica di allargamento dell’UE. 

Per tutto il decennio precedente l’UE ha continuato a dimenticare che l’allargamento è stato una risposta e una soluzione a tutte le sue grandi crisi. Ciò vale in particolare per l’allargamento ai Balcani occidentali.

Area dell’Europa che sta acquisendo particolare importanza dal momento che Putin – dopo il probabile insuccesso in Ucraina – andrà alla ricerca di nuovi obiettivi per cercare di “ compensare” il suo fallimento in terra ucraina.  In particolare la Bosnia ed Erzegovina e Macedonia del Nord potrebbero essere i prossimi scenari di tensione.

Secondo l’IFIMES, ancora, i Balcani occidentali sono alla porta, in attesa di conoscere l’esito della guerra in Ucraina. Come dimostrato dall’attuale criticità prodotta dai membri del Parlamento della Republika Srbska che hanno votato a favore di una legislazione che mira a indebolire l’ordine costituzionale della BiH, rendendone possibile lo scioglimento e portando alla secessione dell’entità Republika Srbska. Ciò rappresenterebbe un’azione simile a quella organizzata dai membri della Duma russa che hanno votato a favore dell’indipendenza delle cosiddette Repubbliche popolari di Donetsk e di Lugansk sul territorio dell’Ucraina.

foto www.nato.int