Randstad, 26 milioni gli inattivi. 5,2 mln i giovani tra 15-29 anni.

Cresce il disincanto tra i giovani e le donne del nostro Paese, sempre meno attivi nella ricerca attiva di un posto di lavoro. E’ quanto emerge dal rapporto di Randstad Research: una fotografia impietosa sullo spreco di capitale umano italiano e, in particolare, delle forze più entusiaste e innovative della nazione.

Complessivamente, secondo il report, non lavora e non è in cerca di occupazione quasi metà della popolazione: un’anomalia che fa dell’Italia uno degli Stati membri meno virtuosi in materia di inclusione lavorativa, dove solo nel 2020 l’inattività nella fascia 15-64 anni è cresciuta del 3%.

Inattività che sembrerebbe colpire indistintamente i giovani studenti italiani fino ad arrivare ai pensionati (statisticamente inattivi), passando dalla piaga dei Neet, alle casalinghe – prive di servizi di supporto -, disoccupati e beneficiari di sussidi statali. Inattività che si ripercuote, inevitabilmente, sulla qualità della vita nella comunità locale. Un ‘tesoro’ di inattività che colpisce circa 5,2 milioni di giovani tra 15-29 anni, 3,6 milioni di uomini di età compresa tra i 30-69 anni e ben 7,1 milioni di donne over30.

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Una moltitudine inattiva a causa di diversi fattori, quali l’assenza di un mercato del lavoro capace di offrire una retribuzione accettabile, la possibilità di ricevere un sussidio statale o un profondo scoraggiamento provocato da un lungo periodo di disoccupazione. Una criticità, l’inattività, che oltre a rappresentare un costo sociale elevatissimo nel medio-lungo periodo, specialmente in riferimento ai giovani italiani, non risulta essere in cima alle priorità dell’Esecutivo Draghi.

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