Neet e formazione dei giovani, Da Re: “Quali misure dalla Commissione?”.

L’Italia, tra i Paesi dell’Unione europea, è notoriamente medaglia d’oro per numero di NEET (“Not in Employment, Education or Training”) ovvero giovani tra i quindici ed i ventinove anni che non lavorano, non studiano né seguono un tirocinio/apprendistato.

La percentuale media di NEET in Europa è di 17.6% e, seppur relativamente alta, non raggiunge il tasso italiano, che tocca il 25,1% (per le donne addirittura il 35%).

“A livello europeo – spiega Gianantonio Da Re esponente del gruppo Identità e Democrazia- sono i paesi del Mediterraneo ad avere le percentuali di NEET più elevate. Ciò crea un ampio divario tra le possibilità lavorative e di istruzione tra il nord e il sud dell’Europa, che si traduce in seguito in un effetto domino sulle economie dei rispettivi Paesi”.

Da questa considerazione la richiesta alla Commissione europea sulle iniziative mirate ad aumentare l’occupazione giovanile e il contrasto al fenomeno NEET.

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Azioni, andando oltre l’autocelebrazione del “ventaglio” di opportunità dei giovani NEET, devono essere innanzitutto accessibili e promosse capillarmente nei territori, specialmente quelli più rurali e ultraperiferici.

Di queste priorità, però, non vi è traccia alcuna nella risposta del Commissario Nicolas Schmit, per il quale in risposta alla recessione economica innescata dalla pandemia, nel 2020 la Commissione ha approntato un pacchetto di iniziative comprendente una garanzia per i giovani rafforzata. Roba, decisamente, da “non leccarsi i baffi”.

L’impressione che si sia lontani dai radar delle iniziative inclusive è, come sempre, confermata: “Tale garanzia – ha dichiarato Schmit – costituisce il principale quadro dell’UE per contrastare la disoccupazione e l’inattività giovanili. Comprende un impegno ambizioso: gli Stati membri devono garantire che tutti i giovani di età inferiore a 30 anni ricevano un’offerta qualitativamente valida di lavoro, di proseguimento degli studi, di apprendistato o di tirocinio entro un periodo di quattro mesi dall’inizio della disoccupazione o dall’uscita dal sistema d’istruzione formale”. In Italia, e non solo, una “missione decisamente compiuta”.

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Ma, sarà masochismo, non ci si stanca mai della narrazione autoreferenziale della Commissione europea circa l’infallibilità delle azioni per i giovani: “Il quadro è stato rafforzato al fine di migliorare la transizione dalla scuola al lavoro tramite misure di sostegno mirate e personalizzate, il coinvolgimento e l’attivazione dei soggetti più vulnerabili, lo sviluppo delle competenze e la riqualificazione, il sostegno post-collocamento e i servizi
integrati”. Se non è questa disinformazione cosa potrebbe esserlo?

Nell’intervento dell’esponente della Commissione von der Leyen, la descrizione del “salvifico” programma ALMA, ovvero, tradotto dall’inglese Aim, Learn, Master, Achieve, “Aspirare, Imparare, Conoscere, Conseguire. Chi non lo conosce tra i/le giovani europei/e?: “L’iniziativa ALMA nel quadro del FSE+ è un programma specifico a sostegno dei giovani NEET più svantaggiati. Si concentra in particolare sui NEET di età compresa tra i 18 e i 29 anni che sono vulnerabili rispetto alle loro possibilità di accedere a un impiego o una formazione per motivi personali o strutturali (ad esempio disabilità, disoccupazione di lunga durata, risultati scolastici insufficienti o contesto migratorio). ALMA offrirà ai partecipanti un’esperienza di lavoro in un altro Stato membro dell’UE per un periodo compreso tra 2 e 6 mesi in quanto parte di un progetto completo che prevede un accompagnamento e una consulenza in ogni sua fase con l’obiettivo di aiutare questi giovani a fare il loro ingresso nel mercato del lavoro”.

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Lo avranno mai sentito, giusto per restare in Sardegna, dalle parti dell’ASPAL?

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