Vivere all’estero ai tempi del Coronavirus: Storie di emigrati sardi in Europa

Anche se può sembrare che il nostro distanziamento sociale sia iniziato ormai da tempo immemore, il DPCM che dichiarava la Lombardia e 10 province “zone rosse” è vecchio solo di due settimane. In Italia la permanenza casalinga che un tempo appariva quantomeno bislacca ha ormai soppiantato la nostra quotidianità, ma come si stanno comportando gli altri paesi Europei per arginare l’avanzata del coronavirus? Con che tempistiche? E le problematiche e le discussioni che oggi affrontiamo, trovano corrispondenza anche in altre nazioni? Il “modello italiano” di risposta al COVID19 sta davvero venendo seguito alla lettera? Ed è vero che gli italiani hanno difficoltà a seguire determinate regole, oppure si tratta di un problema diffuso?

Abbiamo provato a dare risposta ad alcuni di questi quesiti, facendolo in maniera tutta nostra, ovvero raccogliendo le testimonianze in prima persona dei sardi che lavorano e vivono in un altro paese Europeo, e chiedendogli di raccontarci la loro vita all’estero ai tempi del Coronavirus.

Michele Corrias<<Ora ci sono diverse restrizioni>> spiega Michele, che lavora come barista a Vienna da 12 anni <<ma finché non sono state adottate misure dirette, nessuno si preoccupava. Al bar abbiamo messo delle segnalazioni per poter rispettare le distanze di sicurezza, e qualche cliente ci ha persino preso in giro. Ma da questa settimana hanno chiuso scuole e università, bar e gran parte dei negozi. Intanto>> prosegue <<siamo arrivati a circa 2000 casi, con, per fortuna, solo 4 o 5 decessi confermati, più che altro nella zona del Tirolo, e molte persone stanno ancora in giro. Io e la mia compagna, per fortuna, non facciamo particolare vita mondana, quindi stare in casa non ci pesa poi tanto>>.

<<In due la quarantena è meno pesante>> gli fa eco Marco, ricercatore di Scienze Politiche, al momento a Madrid per seguire i suoi casi di studio <<ma c’è poco da essere allegri. La Spagna è il secondo paese in Europa per numero di contagi (oltre 20.000 ndr), e la sua capitale, dove risiedo, è particolarmente colpita. Dopo la manifestazione dell’8 Marzo, che si è svolta regolarmente, il governo ha applicato un giro di vite, bloccando gran parte dei negozi e luoghi di ritrovo, e inserendo dei posti Marco Melonidi blocco per verificare le ragioni degli spostamenti delle persone. Un po’ come in Italia, anche se in ritardo. Le tappe sono state molto simili e anche le reazioni della popolazione e le sue materie di discussione non differiscono da quelle che possiamo osservare dalle nostre parti. Noi siamo fortunati>> ammette <<perché entrambi possiamo comodamente lavorare da casa. Quello che un po’ mi preoccupa è il sistema sanitario. E’ assolutamente all’avanguardia, ma non ci faccio lo stesso affidamento, visto che in molti qua utilizzano assicurazioni private>>.

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Problema di sanità pubblica che sarebbe ancora maggiore, se l’epidemia esplodesse a Malta. <<Qua gli ospedali sono davvero pochi>> racconta Massimiliano, trentasettenne cagliaritano che risiede da sei anni nella nazione più piccola dell’Unione Europea <<e anche se al momento si contano solo una settantina di casi, bisogna considerare che la popolazione non arriva a 500.000. Per me>> confessa <<attualmente è un problema soprattutto di tipo economico. Lavoro in una società internazionale che affitta e vende radioguide, e, come in Sardegna e in altre destinazioni turistiche, il mercato del turismo è crollato. Fa rabbia pensare che dopo tanti sacrifici per guadagnare la mia posizione, dovrò presto cercare altro. Il governo, che intanto ha chiuso scuole, musei, pub e ristoranti, si sta muovendo anche qua, ma la situazione è in continua evoluzione>>.

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Massimiliano Trincas
Chi invece sembra aver messo l’economia di fronte al tentativo di arginare la possibilità di contagi è la Svezia. <<Ci hanno dato consigli e raccomandazioni>> riassume Stefano, a Stoccolma da 7 anni <<ma per ora nessuna misura efficace. Hanno solo chiuso le case per anziani e le scuole di alto grado, consigliando di spostare le lezioni online per quanto possibile. Qua i casi sono arrivati a più di 1700, con 20 decessi confermati, e si sta cercando di aumentare i posti per la terapia intensiva, perché il sistema sanitario è chiaramente impreparato. Io non mi sento tranquillo>> dice il trentanovenne di Monserrato <<perché soffro di asma cronica. All’inizio ammetto di aver minimizzato anche io il problema, ma ora mi sono praticamente chiuso in isolamento. La mia compagna, però, è più preoccupata di me, perché facendo la logopedista si trova a contatto col pubblico ogni giorno. E con le scuole ancora aperte. Diciamo che in questa situazione, il nostro matrimonio che avevamo previsto per Luglio, e che ora forse ci troveremo costretti a rimandare, diventa il minore dei problemi>>.

Anche Valentina, che risiede da 5 anni nel Regno Unito, il paese che più di tutti aveva minimizzato la pandemia di COVID19, si Stefano Panisarebbe dovuta sposare a Maggio, ma concorda che al momento siano altre le cose di cui preoccuparsi maggiormente: <<Sono molto in ansia>> ammette la ragazza, che fa la farmacista a Bristol <<perché in molti vanno ancora in giro come se niente fosse. 4000 casi e quasi 200 morti confermati non fermano le persone, e anche se il movimento nelle strade è diminuito molto, da queste parti la percezione è molto diversa. Da oggi chiudono pub, piscine e palestre, ma le scuole rimangono aperte per chi non può tenere il figlio a casa per motivi lavorativi>>. E che succede in farmacia? <<Non solo abbiamo esaurito completamente mascherine e gel igienizzanti, ma anche termometri e paracetamolo. E come se non bastasse, si stanno formando lunghe code di anziani che attendono accalcati solo per poter chiedere quando arriveranno. Per fortuna ho il weekend libero>> conclude <<non sono mai stata così felice di poter fare tre giorni di quarantena>>.

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Alessandro MancaParticolare invece il caso di Alessandro, consulente tecnico nel settore informatico che lavora in Polonia ormai da 8 anni, e che dal 15 Febbraio ha messo piede nel suo ufficio solo due volte. <<Sono tornato in Sardegna per rinnovare la patente>> racconta il trentaduenne di Flumini di Quartu <<e il 19 Febbraio, di passaggio a Bergamo, ho visto la partita Atalanta-Valencia. Ho passato la mia settimana sull’isola praticamente rinchiuso, e al mio ritorno iniziavano le prime restrizioni in Italia. Per via della situazione particolare, d’accordo col mio manager, abbiamo deciso che era preferibile rimanessi a casa fino al 5 Marzo. Poi sono tornato in ufficio, ma dopo pochi giorni mi sono messo nuovamente in quarantena volontaria e ora sono a casa già da 10 giorni. Meglio prevenire>>. La Polonia conta al momento più di 400 contagi e 5 morti <<per fortuna non nell’area di Cracovia, dove vivo. Devo dire che, nonostante le tante incertezze, e la difficoltà di far giungere le comunicazioni ufficiali alla massa, è stata messa in atto una campagna con volantini informativi pressoché ovunque, e già da una settimana sono state chiuse le scuole, i club, e alcuni negozi e uffici. In molti lavorano da casa come me. Psicologicamente>> conclude Alessandro <<è duro affrontare questa situazione, tagliare i ponti con le relazioni sociali è difficile. Ma l’umore è senz’altro buono>>.

Federico Gaviano

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