L’indagine del Senato sull’impatto del digitale sugli studenti italiani.

Pìu la scuola e lo studio si digitalizzano, più calano le competenze degli studenti. Questo in sintesi l’esito dell’indagine del Senato della Repubblica sull’impatto del digitale sugli studenti e studentesse italiani/e.

Ci sono i danni fisici: miopia, obesità, ipertensione, disturbi muscoloscheletrici, diabete. E ci sono i danni psicologici: dipendenza, alienazione, depressione, irascibilità, aggressività, insonnia, insoddisfazione, diminu­zione dell’empatia. Ma a preoccupare di più è la progressiva perdita di facoltà mentali essenziali, le facoltà che per millenni hanno rappresentato
quella che sommariamente chiamiamo intelligenza: la capacità di concen­trazione, la memoria, lo spirito critico, l’adattabilità e la capacità dialettica

Sono gli effetti che l’uso, che nella maggior parte dei casi non può che degenerare in abuso, di smartphone e videogiochi produce sui più giovani, secondo l’indagine realizzata dal Senato della Repubblica Italiana.

“Niente di diverso dalla cocaina – si legge nel documento -. Stesse, identiche, implicazioni chimiche, neurologiche, biologiche e psicologiche. È quanto sostengono, ciascuno dal proprio punto di vista scienti­fico, la maggior parte dei neurologi, degli psichiatri, degli psicologi, dei pedagogisti, dei grafologi, degli esponenti delle Forze dell’ordine auditi. Un
quadro oggettivamente allarmante, anche perché evidentemente destinato a peggiorare”.

Numeri impressionanti per i senatori italiani: “In Corea del Sud il 30 per cento dei giovani tra i dieci e i diciannove anni è classificato come troppo dipendente dal proprio telefonino: vengono disintossicati in sedici centri nati apposta per
curare le patologie da web. In Cina i giovani malati sono ventiquattro milioni. Quindici anni fa è sorto il primo centro di riabilitazione, natural­mente concepito con logica cinese: inquadramento militare, tute spersona­lizzanti, lavori forzati, elettroshock, uso generoso di psicofarmaci. Un campo di concentramento. Da allora, di luoghi del genere ne sono sorti oltre quattrocento”.

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Analoga situazione in Giappone, dove per i casi più estremi è stato coniato un nome, hikikomori. Significa stare in disparte. Sono giovani tra i dodici e i venticinque anni che si sono completamente isolati dalla società. Non studiano, non lavorano, non socializzano. Vegetano chiusi nelle loro camerette perennemente connessi con qualcosa che non esiste nella realtà. Gli hikikomori in Giappone sono circa un milione. Un milione di zombi.

Detto in termini tecnici, l’esposizione prolungata ridurrebbe la neuroplasticità, ovvero lo sviluppo di aree cerebrali responsabili di singole funzioni. Analogo effetto si registra nei bambini cui è stata limitata la fisicità. Nei primi anni di vita, infatti, sollecitare prevalentemente la vista, sottoutilizzando gli altri quattro sensi, impedisce lo sviluppo armonico e completo della conoscenza. È quel che accade nei bambini che trascorrono troppo tempo davanti allo schermo di un iPad o simili. Per quest’insieme di ragioni, non è esagerato dire che il digitale sta decerebrando le nuove generazioni, fenomeno destinato a connotare la classe dirigente di domani.

Mai prima d’ora una rivoluzione tecnologica, quella digitale, aveva scatenato cambiamenti così profondi, su una scala così ampia e in così poco tempo. Il motivo è evidente, lo smartphone, ormai, non è più uno strumento, ma è diventato un’appendice del corpo. Soprattutto nei più giovani.

Un’appendice da cui, oltre ad un’infinita gamma di funzioni, in larga parte dipendono la loro autostima e la loro identità. È per questo che risulta così difficile convincerli a farne a meno, a mettere da parte il telefonino almeno per un po’: per loro, privarsene è doloroso e assurdo quanto subire l’amputazione di un arto.

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Usarlo incessantemente è dunque naturale. È naturale perché questo li inducono a fare le continue sollecitazioni di algoritmi programmati apposta per adescarli e tenerli connessi il più a lungo possibile. È naturale perché a disconnettersi percepiscono la sgradevole sensazione di essere ‘tagliati fuori’, esclusi, emarginati. È naturale anche e soprattutto perché essere connessi è irresistibilmente piacevole, dal momento che l’uso del digitale che ne fanno i più giovani, prevalentemente social e videogiochi, favorisce il rilascio di dopamina, il neurotrasmettitore della sensazione di piacere.
Ma si tratta di un piacere effimero. Dagli anni ’90, in cui le console per videogiochi irrompono nelle camerette dei ragazzi, e con un’accelera­zione impressionante dal 2007, anno in cui debutta lo smartphone, depres­sioni e suicidi tra i giovanissimi hanno raggiunto percentuali mai viste prima. Sono quasi raddoppiati, e quel che preoccupa è che il trend appare in costante ed inesorabile ascesa.

Stessa tendenza, in rapida crescita, riguarda i casi di autolesionismo, di anoressia, di bulimia. Manifestazioni di disagio giovanile sempre esistite, ma che oggi si autoalimentano sui social e nelle chat esaltando anziché scoraggiando i ragazzi e in modo particolare le ragazze dal metterli in pratica.

A tutto ciò vanno sommate le conseguenze sui più giovani dell’essere costantemente a contatto con chiunque e con qualsiasi cosa. Istigazione al suicidio, adescamento, sexting, bullismo, revenge porn: tutti reati in co­stante crescita. Reati facilitati dal fatto che nelle nuove piazze virtuali non trovano spazio le regole in vigore nelle vecchie piazze reali: vige l’anonimato, i controlli sono scarsi, i minori vi si avventurano senza alcuna sorveglianza da parte dei genitori.

Dal ciclo delle audizioni svolte e dalle documentazioni acquisite, non sono emerse evidenze scientifiche sull’efficacia del digitale applicato all’insegnamento. Anzi, tutte le ricerche scientifiche internazionali citate dimostrano, numeri alla mano, il contrario. Detta in sintesi: più la scuola e lo studio si digitalizzano, più calano sia le competenze degli studenti sia
i loro redditi futuri.

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“Rassegnarsi a quanto sta accadendo sarebbe colpevole – affermano i senatori della 7a Commissione permanente -. Fingere di non conoscere i danni che l’abuso di tecnologia digitale sta producendo sugli studenti e in generale sui più giovani sarebbe ipocrita. Come legislatori, avvertiamo il dovere di segnalare il problema, sollecitando Parlamento e Governo ad individuare i possibili correttivi”.

Da qui la proposta per l’introduzione di misure correttive: scoraggiare l’uso di smartphone e videogiochi per minori di
quattordici anni; rendere cogente il divieto di iscrizione ai social per i minori di tredici anni; prevedere l’obbligo dell’installazione di applicazioni per il con­trollo parentale e l’inibizione all’accesso a siti per adulti sui cellulari dei
minori; favorire la riconoscibilità di chi frequenta il web; vietare l’accesso degli smartphone nelle classi; educare gli studenti ai rischi connessi all’abuso di dispositivi digitali e alla navigazione sul web.

Ma attenzione, non si tratta di dichiarare guerra alla modernità per i senatori, ma semplicemente di “governare e regolamentare quel mondo virtuale nel quale, secondo le ultime stime, i più giovani trascorrono dalle quattro alle sei ore al giorno. Si tratta di evitare che si realizzi fino in fondo quella dittatura perfetta indicata da Aldous Huxley quando la televisione doveva ancora entrare in tutte le case e lo smartphone aveva la concretezza di un’astrazione fantascientifica”.