La politica che ha stancato, Luigi Di Maio: “Giovani sono il nostro oro”.

Sulle ali della campagna elettorale le forze politiche del Paese, protagonisti di proposte sempre più acritiche, tornano a ricordarsi dei giovani, dopo decenni di esclusione della questione giovanile dall’agenda politica italiana. Ultimo a cadere nella trappola della disperata conquista del voto dei giovani italiani (ricordiamolo, da queste Politiche votano anche i 18enni al Senato) è stato l’attuale – purtroppo – ministro degli Affari esteri e della Cooperazione Internazionale, Luigi Di Maio, ribattezzato recentemente col nome di “Gigino ‘a Cartelletta” dal comico per eccellenza del Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo.

Per (l’ancora per poco) esponente dell’Esecutivo Draghi, come ricordato nel corso del Meeting di Rimini in occasione dell’incontro “Nella diversita’, per il bene comune”, “L’Italia è il secondo Paese più anziano del mondo, con un’età media di 46 anni, che prima di tutto dovrebbe trattare i giovani come un tesoro. Sono il nostro oro e dobbiamo cercare di investire in loro il piu’ possibile”.

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Che noia la politica italiana! Un moto perpetuo di ovvietà e assenza di ‘terapie d’urto’ a sostegno dell’inclusione dei giovani. Una vera e propria condanna per i/le ragazzi/e italiani/e, obbligati a dover sentire sempre le solite banalità oltre alle immancabili lacrime di coccodrillo dei principali “leader” delle forze politiche del Paese.

Il capo politico di Impegno Civico, nel corso del suo intervento si è addirittura interrogato sul punto di arrivo dei giovani dopo percorsi di formazione e università (lui che non è stato capace di terminare gli studi, probabilmente, potrebbe dire la sua sull’abbandono universitario) e sul salario equo. Nessuna critica, invece, si è alzata dal palco del Meeting di Rimini, verso l’operato degli ultimi due ministri (pentastellati) delle Politiche Giovanili, Vincenzo Spadafora e Fabiana Dadone. Quest’ultima capace di mettere in piedi un Neet working tour per intercettare nelle città i giovani più difficili, abbandonando, nel contempo, le aree rurali della nazione.

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Chissà se il 26 settembre l’Italia inizierà a perdere (politicamente) uno dei tanti “leader” dei quali il Paese può fare benissimo a meno.

foto Quirinale.it