La ‘fuga dei cervelli’ nel settore sanitario.

Lo stipendio degli operatori sanitari, riflettendo sulle diverse retribuzioni nel mondo, rappresenta da sempre un concetto relativo. Dai 742 euro percepiti da un medico in Pakistan, passando ai circa 3000 euro per un dirigente medico in Italia, fino ad arrivare ai 10mila euro al mese negli Stati Uniti d’America. Cifre che esprimono un diverso valore per la stessa posizione professionale, nelle diverse comunità nazionali. Una discrepanza che negli anni ha alimentato i flussi migratori dei giovani medici verso la ricerca di condizioni di lavoro più vantaggiose.

Basta dare uno sguardo alle retribuzioni del personale medico anche all’interno della stessa UE per comprendere la direzione dei flussi migratori del personale sanitario, sempre più orientato a spingersi verso i Paesi nordici rispetto a quelli mediterranei. Un ‘brain drain’ ovvero una fuga dei cervelli che, unita all’emergenza sanitaria e a legislature di politiche di bilancio restrittive, ha portato all’impoverimento del patrimonio di risorse umane in campo sanitario nei diversi Paesi europei, tra i quali, appunto, l’Italia.

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Recentemente il tema è stato proposto all’interno del Parlamento europeo da parte dell’eurodeputata dei Socialisti e Democratici, Biljana Borzan, che, attraverso un’interrogazione parlamentare, ha chiesto alla Commissione europea di riferire circa l’esistenza di programmi specifici indirizzati verso la mitigazione degli effetti negativi della fuga dei cervelli nel campo sanitario.

Una esodo che l’UE sta provando a limitare attraverso l’invito a presentare proposte nell’ambito del programma per la salute “mirato a promuovere iniziative per la fidelizzazione della forza lavoro nella sanità” come affermato dalla Commissaria alla salute, Stella Kyriakides, e attraverso le risorse inserite nel quadro finanziario pluriennale 2021-2027, in particolare tramite il programma EU4Health e la politica di coesione.

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Una politica di coesione che dovrà tentare di riuscire nel difficile compito di colmare il gap di retribuzione patito specialmente dai giovani medici provenienti dalla Grecia, Spagna e Italia, giusto per citarne alcuni, nei confronti dei più remunerati medici tedeschi, francesi e danesi.

Disparità, guardandola sotto un altro punto di vista, che impoverisce il concetto stesso di cittadinanza europea e, ancor di più, il patrimonio sanitario dei Paesi europei meno sviluppati che, oltre a perdere personale medico qualificato, sprecano notevoli risorse economiche per la formazione, a tutto vantaggio dei Paesi più ricchi.

Numeri importanti rapportando l’entità media della spesa per la formazione di ogni singolo medico con il novero dei medici che ogni anno lascia il proprio Paese. Secondo i dati più recenti soltanto in Italia il numero dei medici che decide di emigrare è pari mediamente a circa 1500 unità, mentre la spesa per la formazione degli specialisti raggiunge ampiamente i 150mila euro. Ragionando, inoltre, sul fatto che circa il 52% dei medici europei che emigra all’estero è italiano, i danni economici sono a dir poco rilevanti.

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Una fuga alla quale non è facile dire di no, come dimostrano le laute proposte provenienti dai Paesi più ricchi, come gli Emirati Arabi che attraverso società specializzate nel recruiting di personale sanitario, possono offrire contratti mensili che vanno dai 14 ai 20 mila euro al mese oltre all’interprete, la casa, la scuola per i figli, e pure l’autista, senza contare l’assenza di imponibile…

Foto di Sasin Tipchai da Pixabay