Il rapporto Svimez sull’economia e la società del Mezzogiorno: negli ultimi 18 anni oltre 1 milione i giovani emigrati italiani.

L’Italia non è un Paese per giovani. Una frase ricorrente e confermata dalle ultime rilevazioni della SVIMEZ, l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno che, di fatto, pongono una serie di interrogativi al Governo in merito all’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

Una fotografia impietosa guardando al fenomeno del brain drain nel Sud Italia, dove è emigrato oltre 1 milione di giovani nel corso degli ultimi 18 anni, acuendo, di fatto, il divario generazionale in termini di inclusione sociale nel Mezzogiorno. In particolare, secondo la SVIMEZ, rimarrebbe alta la quota di donne NEET (quasi 900mila), con valori intorno al 40% rispetto al 17% nella media europea.

A conferma della maggiore difficoltà di accesso al mercato del lavoro delle giovani donne nel Mezzogiorno, il tasso di occupazione delle 20-34enni laureate da 1 a 3 anni è appena il 44% nel Mezzogiorno a fronte di valori superiori al 70% nel Centro-Nord. Rispetto al secondo trimestre 2019, l’occupazione femminile nel Sud si è ridotta di circa 120mila unità nel 2021, (-5%, contro -3,3% del Centro-Nord).

Migrazioni e diminuzione della natalità, insieme all’incremento della mortalità media rispetto agli anni precedenti a causa degli effetti diretti e indiretti della pandemia, hanno determinato la contrazione del tasso di crescita della popolazione registrata nel 2020: -6,4‰ in Italia, -6,2‰ al Centro-Nord, con punte del -7‰ nel Mezzogiorno. Nel 2020 il saldo migratorio interno risulta in media negativo al Sud per oltre 50 mila unità a favore delle regioni del Centro-Nord.

Complessivamente nel periodo 2002/2020 coloro che sono emigrati dal Sud hanno superato il milione di persone, di cui circa il 30% laureati,

Segno meno anche per le famiglie del Sud. Nel 2020, anche a causa della pandemia, la povertà assoluta è aumentata sia per le famiglie sia per gli individui. Sono oltre 2 milioni le famiglie italiane povere, per un totale di più di 5,6 milioni di
persone. Di cui oltre 775.000 nelle regioni meridionali per circa 2,3 milioni di persone. Il Mezzogiorno si conferma la ripartizione territoriale in cui la povertà assoluta è più elevata con un’incidenza del 9,4% fra le famiglie (era l’8,6% nel 2019). La presenza di minori incide in misura significativa sulla condizione di povertà: nel Mezzogiorno il 13,2% delle famiglie in cui è presente almeno un figlio minore sono povere, contro l’11,5% della media nazionale.

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Dati poco entusiasmanti anche nel campo della sanità, dove si registrano valori di spesa pro capite mediamente più bassi nelle regioni del Mezzogiorno. La netta riduzione dell’assistenza ospedaliera operata per massimizzare i risparmi immediati non è andata di pari passo con il rafforzamento dei servizi alternativi all’ospedale, in primis la medicina territoriale. Su quest’ultimo fronte, come mostrano diversi indicatori, i risultati sono stati poco soddisfacenti, soprattutto nel Mezzogiorno, che già partiva da livelli più contenuti di servizi di assistenza territoriale. In particolare, il tasso di assistenza domiciliare integrata, calcolato su 10mila abitanti ultrasessantacinquenni, è pari a oltre 715 al Nord e a più di 636 al Centro mentre cala a 487 nel Mezzogiorno. Alle differenze nelle prestazioni erogate dai diversi Servizi sanitari regionali si associa il fenomeno ormai strutturale della migrazione dal Sud al Nord del Paese dei cittadini alla ricerca di cure mediche.

L’Italia e soprattutto il Mezzogiorno rimangono ancora distanti dai target europei nei servizi all’infanzia (il 33% di copertura nella fascia 0-2 anni). Il livello dei posti si attesta al 26,9% dei bambini fino a 2 anni con elevate disparità territoriali: circa il 15% la copertura nelle Regioni del Sud. Il divario tende a chiudersi con il passaggio alla scuola materna e primaria ma la
carenza d’offerta a sfavore del Mezzogiorno si sposta dai posti agli orari di frequenza. Nel Mezzogiorno è molto meno diffuso l’orario prolungato nella scuola d’infanzia (5,3% dei bambini) e, viceversa più diffuso l’orario ridotto (19,7%) rispetto al Centro-Nord (17,3% e 3,6% rispettivamente i bambini ad orario prolungato e ridotto) mentre nella scuola primaria la percentuale di alunni che frequentano a tempo pieno è più bassa nelle regioni meridionali (17,6%) rispetto al resto del Paese (47,7%).

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Gli early leavers meridionali che lasciano prematuramente il sistema formativo sono il 16,3% al Sud a fronte dell’11,2% delle regioni del Centro-Nord: 253mila giovani meridionali con al massimo la licenza media e fuori dal sistema di istruzione.

Persiste un evidente digital divide: nel Mezzogiorno è più elevata la frequenza di persone senza competenze digitali (4,3% della popolazione) o con competenze basse (47,8%), mentre nelle regioni settentrionali prevalgono coloro che hanno un alto livello di competenze digitali (32% nel NordOvest e 30,8% nel Nord-Est).

Tra le altre sfide legate all’attuazione del PNRR, segnalate dall SVIMEZ, l’assorbimento delle risorse da parte della Pubblica amministrazione, considerando che le Amministrazioni regionali e locali meridionali dovranno gestirne una quota significativa, che la SVIMEZ quantifica in 20,5 miliardi, per la metà concentrati nel biennio 2024/2025. Nel biennio il volume annuo di spesa per investimenti attivato dal PNRR gestito dalle Amministrazioni decentrate dovrebbe essere pari a circa 4,7 miliardi che richiederebbe uno sforzo aggiuntivo di spesa pari a circa il 51% rispetto alla spesa annua effettuata dalle stesse Amministrazioni meridionali nel triennio 2017-19.

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Regioni e Comuni del Sud, infatti, soffrono di un’evidente debolezza della macchina amministrativa, il cui numero degli addetti è esiguo. La marcata riduzione dell’occupazione nella PA tra il 2010 e il 2019 ha riguardato soprattutto gli enti locali meridionali (-27% rispetto al -18,6% del Nord). E per di più composto in prevalenza da personale anziano con scarse competenze non solo informatiche. Basti pensare che la quota di personale laureato è inferiore all’11% nel Comune di Palermo, di poco più del 19% a Napoli, mentre sale a circa il 24% in quello di Milano per arrivare al 32% a Bologna e
Venezia.

Un’altra sfida decisiva riguarda il coordinamento tra fondi del PNRR e fondi della Politica di Coesione, che non possono andare avanti come due compartimenti stagno, bisogna programmarli e spenderli in sinergia per ottenere il massimo impatto sui territori meridionali. Per il completamento del ciclo 2014/2020 dovranno essere spesi entro il 2023 oltre 30 miliardi, ai quali si vanno a sovrapporre i nuovi fondi del periodo successivo 2021/2027, 83 miliardi, da utilizzare entro il 2030. Una quota rilevante di queste risorse dovrà essere impegnata al Sud. Di qui il monito della SVIMEZ: è indispensabile una complementarietà tra politiche di coesione nazionale ed europea col PNRR, che può avvenire solo a patto che i Programmi della Coesione siano effettivamente aggiuntivi e che siano uniformate le modalità di governance. Questo coordinamento dovrà anche essere esteso alle politiche generali, valorizzando il contributo delle transizioni gemelle verde e digitale delle regioni del Sud, nell’ambito di un disegno di politica industriale che metta a frutto il posizionamento strategico del Paese nel Mediterraneo.

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