ECR, Berlato e Sofo: “Il Green pass rispetta il divieto di discriminazione?”.

Secondo quanto prescritto dal regolamento UE 2021/953, dello scorso 14 giugno 2021, è vietata la discriminazione diretta o indiretta verso le persone non vaccinate. Alla luce di quanto indicato nel provvedimento i due eurodeputati del gruppo ECR, Berlato e Sofo, hanno chiesto il parere della Commissione sull’aderenza del nuovo Green pass italiano ai dettami del regolamento UE.

“Permettere solo alle persone vaccinate, a quelle che siano guarite dalla COVID-19 negli ultimi 6 mesi o a quelle che si siano sottoposte a tampone nelle ultime 48 ore di accedere a pubblici esercizi, spettacoli, eventi e competizioni sportive, musei, istituti e luoghi di cultura, piscine, palestre, centri benessere, fiere, sagre, convegni e congressi, centri termali, parchi tematici e di divertimento, centri culturali e ricreativi, sale da gioco e casinò, concorsi pubblici non discrimina forse coloro che hanno scelto di non vaccinarsi o che non possono vaccinarsi, ma che rispettano tutte le norme igienico-sanitarie prescritte, soprattutto dal momento che è scientificamente dimostrato che anche i vaccinati possono essere portatori del virus della COVID-19 e che quindi anch’essi dovrebbero sottoporsi a tampone?”.

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Sulla questione a nome della Commissione europea è intervenuto il Commissario Didier Reynders: “Il regolamento (UE) 2021/953 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al certificato Covid digitale dell’UE si basa sull’articolo 21, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea e mira ad agevolare il diritto alla libera circolazione all’interno dell’UE. Per garantire che anche le persone non vaccinate possano godere del diritto alla libera circolazione, il regolamento istituisce un quadro a livello europeo per il rilascio, la verifica e l’accettazione di certificati relativi non solo alla vaccinazione, ma anche ai test e alla guarigione dalla COVID-19. Esso afferma chiaramente che la vaccinazione non costituisce una condizione preliminare per l’esercizio del diritto alla libera circolazione”.

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“L’uso nazionale dei certificati COVID-19 per scopi diversi dall’agevolazione della libera circolazione all’interno dell’UE – ha proseguito Reynders – non rientra nell’ambito di applicazione di tale regolamento. Gli Stati membri possono effettivamente utilizzare il certificato COVID digitale dell’UE a fini nazionali, ma sono tenuti a prevedere una base giuridica nel diritto nazionale che rispetti, tra l’altro, i requisiti in materia di protezione dei dati. Nel caso in cui uno Stato membro istituisca un sistema nazionale di certificati COVID-19 a fini interni, esso dovrebbe garantire che anche il certificato COVID digitale dell’UE sia accettato in tale contesto. In questo modo, i viaggiatori che si recano in un altro Stato membro non devono ricevere un certificato nazionale supplementare per la COVID-19 per avere accesso, ad esempio, a bar o ristoranti”.

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In conclusione del suo intervento l’esponente della Commissione von der Leyen ha poi ricordato lo stanziamento di 100 milioni di euro per i test anti-Covid: “Per contribuire a garantire che tutti i cittadini possano usufruire di test a costi accessibili, la Commissione ha messo a disposizione degli Stati membri 100 milioni di euro per test che soddisfino i requisiti per il rilascio del certificato COVID digitale dell’UE”.

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