Burocrazia e sprechi: danni per 225 miliardi in UE.

E’ decisamente impietosa – nonché realistica – la nuova indagine dell’Università di Göteborg sull’indice europeo sulla qualità istituzionale che tiene conto della percezione, da parte dei cittadini, della qualità, dell’imparzialità e della corruzione della Pubblica Amministrazione presente in un determinata area regionale.

Una conferma, circa la deludente performance della macchina pubblica, a prova di “comunicazione istituzionale” e che offre una prima stima sulla somma del danno per famiglie e imprese. Circa 225 miliardi di euro all’anno.

“Le regole tortuose e complicate della nostra burocrazia statale, i mancati pagamenti della Pubblica Amministrazione (PA), la lentezza della giustizia civile, lo spaventoso deficit infrastrutturale, gli sprechi nella sanità e nel trasporto pubblico locale sono da tempo una spina nel fianco dell’economia del nostro Paese”, spiegano dall’Ufficio Studi della CGIA di Mestre.

Tradotto, un danno quantificato in circa 11 punti di Pil a livello europeo (UE-27): “Sebbene sia sempre sbagliato generalizzare – proseguono dalla CGIA di Mestre – visto che anche la nostra PA può contare su punte di eccellenza centrali e locali che ci sono invidiate in molti Paesi europei, gli sprechi, gli sperperi e le inefficienze presenti nella nostra burocrazia pubblica sono una amara realtà che, purtroppo, hanno e continuano a ostacolare la modernizzazione del Paese.

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Siamo tra gli ultimi in UE per qualità dei servizi pubblici e, sebbene sono state recuperate posizione rispetto al 2019, nell’ultima indagine campionaria realizzata a inizio di quest’anno, l’Italia si colloca solo al 23° posto a livello europeo per la qualità offerta dai servizi pubblici. Tra i 27 paesi UE messi a confronto, solo Romania, Portogallo, Bulgaria e
Grecia presentano un risultato peggiore del “Bel Paese”.

Va male soprattutto la Basilicata, Campania e Calabria. Su 208 regioni europee monitorate nel 2021 dall’Università di Göteborg, la prima realtà italiana la scorgiamo al 100° posto ed è la Provincia Autonoma di Trento. Seguono al 104° le strutture pubbliche presenti nel Friuli Venezia Giulia, al 109° quelle ubicate in Veneto e al 117° quelle insediate nella Provincia di Bolzano.

Sconsolante, ancora, la situazione che emerge dalla lettura dei dai riferiti alle regioni del Sud. Delle ultime 20 posizioni di questa graduatoria europea, ben 5 sono occupate dalle regioni del Mezzogiorno: la Puglia è al 190° posto, la Sicilia al 191°, la Basilicata al 196°, la Campania al 206° e la Calabria, penultima a livello europeo, al 207° posto.

Nelle prime cinque posizioni della graduatoria europea, di converso, si trovano le regioni di Åland (Finlandia), Midtjylland (Danimarca), Friesland (Paesi Bassi), Nordjylland (Danimarca) e Småland med öarna (Svezia). Chiudono la
classifica, invece, Severoiztochen (Bulgaria), Sud-Est (Romania), NordEst (Romania), Yugozapaden (Bulgaria), Campania e Calabria.

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Sul costo annuo sostenuto dalle imprese per la gestione dei rapporti con la Pubblica Amministrazione si è arrivato a stimare un danno di circa 57,2 miliardi di euro. 55,6 invece sono i miliardi di debiti commerciali della nostra PA nei confronti dei propri fornitori, come rilevato dall’Eurostat.

La lentezza della giustizia costa, inoltre, 2 punti di Pil all’Italia ogni anno, ovvero 40 miliardi di euro, come rilevato dallo stesso ministro della Giustizia Carlo Nordio.

Continuando, il deficit logistico-infrastrutturale penalizza il nostro sistema economico per un importo di 40 miliardi di euro all’anno e gli sprechi nella sanità ammontano, secondo GIMBE, ad oltre 21 miliardi di euro.

L’entità degli effetti generati dal cattivo funzionamento della Pubblica Amministrazioni, in sostanza, ha dimensioni tali da ritenerla responsabile del livello di arretratezza che caratterizza la nostra macchina pubblica rispetto a quelle dei nostri principali competitor commerciali (Francia, Germania, Spagna).

Per conclamata incompetenza, ancora, rischiamo di perdere i fondi UE. Come è emerso in queste ultime settimane, non siamo in ritardo solo nella messa a terra del PNRR, ma anche nella spesa dei fondi UE. Sarà per questo che l’UE ha dato all’Italia tutte queste risorse? Forse qualcuno/a, conoscendo la dabbenaggine italiana, aveva previsto con largo anticipo l’incapacità tutta italiana per la spendita dei fondi?

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Valutazioni editoriali a parte, entro il 31 dicembre 2023, data di scadenza di attuazione del settennato 2014-2020, l’Italia dovrà spendere i restanti 29,8 miliardi, di cui 10 sono di cofinanziamento nazionale. Se non riusciremo a centrare questo obbiettivo, la quota di fondi UE non utilizzatati andrà persa. Insomma, è a rischio una buona parte dei 19,8 miliardi che
l’Europa ci ha messo a disposizione da almeno nove anni. Le ragioni di questa difficoltà nell’ utilizzare i soldi europei è nota da tempo, secondo la CGIA di Mestre: “Scontiamo, innanzitutto, una grossa difficoltà di adattamento della nostra Pubblica amministrazione alle procedure imposte dall’UE. Dopodichè, il personale, soprattutto dell’area tecnica, è insufficiente e quello occupato ha retribuzioni basse e, spesso, risulta, anche per questa ragione, poco motivato. Specificità che condizionano la qualità e la produttività del servizio reso da questi dipendenti, in particolar modo delle regioni e degli enti locali più in difficoltà, che, in buona parte, sono concentrati nel Mezzogiorno”.