Social dipendenza. Alto rischio per oltre un milione di giovani.

Sarebbero oltre 1,1 milioni gli under 35 anni a rischio elevato di dipendenza da social media con i giovanissimi tra i più esposti alle insidie comportamentali della rete che peserebbero per quasi il 40% sul totale. È quanto emerge da una ricerca di Demoskopika che, utilizzando la Bergen Social Media Addiction Scale, ha rilevato alcuni comportamenti preoccupanti: dal bisogno di usare sempre più frequentemente i social media, all’incapacità di smettere di usarli. E, ancora, dai comportamenti ansiosi o agitati per il mancato utilizzo dei social media alla riduzione delle ore dedicate allo studio e al lavoro per il loro eccessivo impiego.

L’analisi dei ricercatori di Demoskopika farebbe emergere una relazione inversamente proporzionale tra l’età dei giovani e l’incidenza del livello di alto rischio di dipendenza da social media. In altri termini, al ridursi dell’età aumentano i possibili fattori comportamentali preoccupanti. In particolare, i giovanissimi, compresi nella fascia di età tra i 18 e i 23 anni, ricadenti nell’area “High Addiction” indicante un alto rischio di livello patologico di dipendenza sarebbero oltre 430 mila, pari al 38% del totale, seguiti dai 390 mila individui di età compresa tra 24 e 29 anni (34,5%) e, infine, dagli under 35 “più adulti” (30-35 anni) che supererebbero di poco i 308 mila soggetti maggiormente esposti.

“I dati rilevati sul campo – commenta il presidente di Demoskopika, Raffaele Rio – confermano una preoccupazione, oltre che nella comunità scientifica, anche tra i diretti interessati, i giovani, sui rischi comportamentali legati all’utilizzo eccessivo e pervasivo dei social. Gli under 35 rivendicano un ascolto attivo anche per arginare la loro ricompensa sociale attraverso i like e ridurre il social-qualunquismo. Esiste nella comunità giovanile – precisa Raffaele Rio – una crescente consapevolezza digitale sulle criticità legate all’uso delle piattaforme sociali e sulla loro contaminazione emotiva condizionante l’umore delle persone. Ad oggi, però, la politica non sembra particolarmente attenta o, nella migliore delle ipotesi, sembra rinchiusa nel limbo della meditazione su quali misure metter in campo per arginare il “lato oscuro della rete”. In questa direzione – conclude Raffaele Rio – sarebbe utile avviare una capillare campagna di comunicazione della Presidenza del Consiglio funzionale a rafforzare la cultura digitale, a divulgare una maggiore conoscenza sui pericoli dei social media tra le giovani generazioni oltre che ad attivare misure di sostegno alla rete dei soggetti istituzionali e associativi impegnati in prima linea nella costruzione del benessere giovanile nel nostro Paese”.

I social media battono gli amici: l’85,7% contro il 36,6%. L’analisi dei risultati restituisce un quadro abbastanza chiaro riguardo alla preferenza da parte degli intervistati per le attività mediate, a conferma di quanto si va affermando da qualche tempo, ovvero della legittimazione di una nuova cultura del tempo libero che assegna ai media digitali il ruolo di emblema della gerarchia valoriale dei giovani. E così, la maggior parte dei giovani intervistati ha dichiarato di usare tutti i giorni i social (85,7%) o un personal computer (79,8%). Per circa quasi 7 giovani su 10 prevale l’ascolto di musica (68,9%) oppure guarda la televisione, attraverso principalmente le piattaforme digitali (67,4%). Per quanto riguarda invece le attività “non mediate”, solo poco più di 3 giovani su dieci “vedono” quotidianamente gli amici (36,7%) e ancora di meno è la percentuale di intervistati che dichiara di passare il tempo libero con parenti e familiari (17,3%).

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Quali sono i social network più utilizzati dai giovani? In testa, rispetto al campione osservato, si colloca il social di Meta basato sulla condivisione di foto e video brevi, ossia Instagram, frequentato da più di 8 giovani su 10 (83,1%), seguito da Facebook che si situa al secondo posto con il 72,5%. Seguono in una posizione intermedia Youtube con il 50,7%, e Tik Tok con il 37,6%. Meno rilevante la frequenza di utilizzo degli altri social network tra i quali si possono citare, ad esempio, X (10,7%), Linkedin (9,7%), Pinterest (6,3%) e Snapchat (5,2%).

Oltre alle innegabili potenzialità, i social media nascondono anche rischi e pericoli e, fra questi, la “dipendenza da social media” o “Social media Addiction”, che si riferisce ad un tipo di dipendenza comportamentale, caratterizzata dall’eccessivo e incontrollabile bisogno di accedere a essi. E così, utilizzando la Bergen Social Media Addiction Scale per misurare il rischio di Social Media Addiction, i ricercatori di Demoskopika hanno rilevato alcuni comportamenti preoccupanti legati all’uso/abuso dei social media. In particolare, il 10,3% dei giovani presenta un alto livello di rischio dipendenza (“High Addiction”) dai social media. E, ancora, risulta significativamente preoccupante anche il 15,6% che si colloca nell’area
“Moderate Addiction”, con una certa propensione, dunque, al pericolo di dipendenza. La maggior parte degli under 35, infine, pari al 74,1%, trova spazio nell’area “meno rischiosa” (“Low Addiction”).

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In Sicilia, Campania e Umbria la maggiore incidenza. Sarebbero oltre 1,1 milioni i giovani (18-35 anni) a rischio elevato di dipendenza da social media, pari al 10,1% della popolazione giovanile complessiva residente in Italia, pari a quasi 11 milioni di individui secondo gli ultimi dati Istat disponibili all’1 gennaio 2023. Nonostante l’incidenza dell’area ad alto rischio non presenti distanze significative tra regioni, si è proceduto, comunque, a generare una graduatoria al fine di poter operare un confronto tra le varie “comunità giovanili” residenti in ciascun territorio oltre il mero dato assoluto.

E, così, la Sicilia con 106,8 mila giovani più esposti si colloca in cima con un’incidenza dell’area “High Addiction” pari all’11,155% seguita da Campania e Umbria rispettivamente con 131,4 mila giovani (11,144%) e 16,5 mila under 35 anni (11,138%). Sono dieci, inoltre, i sistemi giovanili con un peso degli under 35 a più alto rischio di dipendenza da social media al di sopra dieci punti percentuali: Lazio con 109,1 mila giovani (10,559%), Toscana con 66,9 mila giovani (10,550%), Abruzzo con 24 mila giovani (10,493%), Valle d’Aosta con 2,3 mila giovani (10,473%), Trentino Alto Adige con 22,5 mila giovani (10,459%), Marche con 27,4 mila giovani (10,401%), Puglia con 78,9 mila giovani (10,363%), Basilicata con 10,7 mila giovani (10,220%), Molise con 5,5 mila giovani (10,067%) e Piemonte con 75,3 mila giovani (10,048%). Le rimanenti regioni, infine, registrano un rapporto al di sotto della media italiana, pari al 10,73%: Emilia-Romagna con 80 mila giovani (9,968%), Veneto con 87 mila giovani (9,833%), Liguria con 24,5 mila giovani (9,726%), Sardegna con 25,6 mila giovani (9,663%), Lombardia con 179,4 mila giovani (9,642%), Calabria con 34,9 mila giovani (9,615%) e, infine, Friuli Venezia Giulia con 19,7
mila giovani (9,597%).

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Nel tentativo di comprendere il livello di consapevolezza dei giovani italiani rispetto alle insidie della rete, l’indagine ha rilevato il loro livello di condivisione rispetto a una batteria di affermazioni riguardanti l’aggressione che avviene tramite i social. Nel dettaglio, sommando le modalità “abbastanza” e “molto” si ricava, seppur in chiave non esaustiva, un orientamento che offre alcuni spunti interessanti, una suddivisione in due raggruppamenti: colpevolisti e giustificazionisti.

E, così, analizzando le risposte degli under 35 italiani emerge un atteggiamento prevalentemente di condanna rispetto al fenomeno dell’incitamento all’odio in rete, pari all’81,6%.

Tra le otto affermazioni sottoposte alla condivisione del campione, infatti, le modalità di risposta che hanno totalizzato le maggiori preferenze dei giovani riguardano un orientamento di accusa verso chi insidia la libertà di comunicazione su internet. In particolare, l’83,7 degli interpellati ritiene che l’incitamento all’odio in rete comporti “conseguenze sulla vita reale degli offesi” a cui fa immediatamente eco una consistente quota del 79,5% che lo ritiene una “forma molto grave di
aggressione dell’altro”. A chiudere l’orientamento dei colpevolisti la percezione di chi pensa che l’hate speech sia un fenomeno “legato a maleducazione” di chi lo commette (76,9%).

Le rimanenti affermazioni sono state inserite per misurare il livello di giustificazionismo del fenomeno, pari complessivamente al 40,6%. In questa direzione, ben il 74,3% ritiene che le social insidie “rispecchino le tensioni della società” e, in forma meno significativa, sia una “modalità tipica della comunicazione online” (41,3%). E, ancora, per il 27,2% “sono solo parole”, “evita che l’odio si esprima nella vita reale” (25,6%) e, infine, risulta un “modo accettabile per ridurre la rabbia” (20,4%).

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