Migrazioni, Openpolis: “Il nuovo Patto chiude le frontiere dell’Europa”.

I cinque pilastri del recente accordo europeo sulla migrazione, concordato dal Consiglio e dal Parlamento europeo, non toccano i cardini del regolamento di Dublino, inasprirendo, secondo Fondazione Openpolis, le norme volte all’esclusione delle persone migranti dal vecchio continente, minacciando i loro diritti fondamentali.

Il patto si sostanzia in una serie di dispositivi che irrigidiscono le regole per l’accesso di richiedenti asilo e rifugiati nei paesi membri dell’Ue, dando continuità a una tendenza che ha portato, in questi anni, l’Europa a chiudere sempre di più le sue frontiere esterne.

Nonostante le massime cariche europee – come la presidente del parlamento Roberta Metsola e la commissaria agli affari interni Ylva Johansson – abbiano parlato di “solidarietà” e “protezione per i vulnerabili”, la postura del futuro impianto normativo suggerisce una chiusura nei confronti dei cittadini dei Paesi terzi, già radicata nel vecchio continente, attraverso per esempio le migliaia di chilometri di muri costruiti lungo i confini est, dalla Serbia fino alla Lituania.

Insomma, nulla di nuovo circa l’incoerenza insita nella narrazione democratica delle principali istituzioni europee, in materia di diritti e Stato di diritto.

Dall’accordo emergerebbe ancora una certa de-responsabilizzazione dell’Unione europea, più o meno esplicita a seconda degli ambiti di intervento e dell’intensità dei flussi. Inoltre aumenterebbe la discrezionalità della singola nazione sul tema, soprattutto nei periodi di “crisi”.

Secondo tutte le parti dell’accordo, in particolare, la persona migrante non rappresenterebbe una risorsa – in termini di arricchimento culturale, socio-economico e nell’ottica al contrasto alla forte denatalità che caratterizza il vecchio continente – bensì un “problema” da affrontare con piglio securitario.

Nulla di nuovo anche in questo caso. I problemi complessi per taluni vanno risolti con soluzioni semplicistiche. Non dovrebbe sorprendere se ancora nel 2023 anche nelle “civiltà sviluppate” continuano ad essere notevoli i problemi di inclusione.

Per quanto riguarda, inoltre, il nuovo regolamento su asilo e migrazione è bene premettere che non viene modificata l’anima del regolamento di Dublino (da più parti contestata negli ultimi anni), secondo la quale la persona migrante deve necessariamente chiedere asilo al primo paese di approdo in Ue.

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Si tratta di un meccanismo che interessa non poco gli stati di frontiera come l’Italia, e che rimarrà tale anche all’entrata in vigore del patto. Anzi, la responsabilità del primo paese di ingresso aumenta a 20 mesi (periodo ridotto a un anno per chi viene salvato in mare).

Di nuovo c’è invece un meccanismo di solidarietà obbligatoria: ogni anno verrà costituito un “pool di solidarietà” attraverso cui i paesi membri dovranno sostenere quelli definiti “sotto pressione migratoria“. Potranno farlo in due modi: con la relocation (la redistribuzione delle persone) o con un contributo finanziario, proporzionale alla dimensione della popolazione e al pil nazionale.

Questo pool ha una soglia minima di 30mila ricollocamenti e 600 milioni di euro, mentre ogni ricollocamento può essere rimpiazzato con un contributo del paese membro a quello “sotto pressione” dell’importo di 20mila euro per ogni mancato ricollocamento.

Non è stato al momento dettagliato chi gestirà questi fondi e con quale cadenza potranno essere erogati, nel documento viene specificato che potranno servire anche per “il finanziamento di azioni nell’Ue e nei paesi terzi“, quindi per la protezione delle frontiere esterne, attraverso accordi con nazioni extra-europee, come già avviene per esempio in Libia e Turchia.

Un altro dei pilastri del nuovo patto riguarda la risposta alle crisi migratorie. Sono queste le norme che, a una prima analisi, sembrerebbero permettere maggiore flessibilità dei singoli paesi nella gestione delle richieste d’asilo.

In caso di “crisi” lo stato membro dovrà presentare una richiesta motivata alla commissione, che la esaminerà entro due settimane. Non sembrano esserci, almeno a leggere i documenti provvisori, criteri rigidi per determinare cosa effettivamente sia una “crisi migratoria”. In caso di “crisi migratoria” ai singoli stati saranno concesse ampie deroghe per le procedure di asilo.

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Una volta approvata l’istanza del Paese membro, sempre secondo l’analisi di Fondazione Openpolis, questo avrà mani più libere sia nell’effettuare procedure di frontiera, che per registrare più velocemente le domande di asilo. È in questo documento che si parla anche della cosiddetta “strumentalizzazione” dei migranti, ossia delle iniziative che si dovranno intraprendere nel caso in cui un paese terzo strumentalizzasse i flussi migratori danneggiando un membro Ue con cui confina. Non è esplicito ma comunque evidente il riferimento ai migranti che negli ultimi anni hanno tentato di entrare nei paesi dell’Europa orientale attraverso i confini con Russia e Bielorussia. In questi casi è prevista un’ampia gamma di deroghe.

Ci sono poi novità importanti legate alla procedura di asilo. Viene istituita una border procedure (procedura di confine) applicata a determinate categorie di persone migranti: quelli che mentono alle autorità, sono considerati un pericolo per la sicurezza, o semplicemente che provengono da paesi ai cui cittadini non viene di solito concesso l’asilo, cioè con un tasso di riconoscimento inferiore al 20%. Una soglia che, nella circostanza di un paese in stato di “crisi” migratoria, verrà alzata addirittura al 50%, mentre nel caso di “strumentalizzazioni” potrà essere applicata a tutti i migranti al confine.

La procedura di confine è stata pensata in sostanza per i cosiddetti “migranti economici“, ossia per chi arriverebbe da paesi non ritenuti in guerra. Si tratta di una categoria che però non ha mai avuto un inquadramento giuridico chiaro, ma nei fatti rappresenta da anni un’espediente politico-mediatico entrato nel dibattito pubblico.

Principalmente si tratta di persone che hanno pochissime possibilità di ottenere asilo perché provengono da un Paese che non è in guerra. Spesso sono migranti venuti a cercare lavoro.

Gli ultimi due dispositivi che compongono il nuovo patto sono più tecnici, ma non meno significativi. Il primo riguarda l’Eurodac, il database comunitario per le impronte digitali dei richiedenti asilo, attivo nei 31 paesi europei. Sarà implementato con i dati biometrici e verrà abbassata l’età di obbligatorietà dell’identificazione, da 14 a 6 anni.

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Il secondo concerne le procedure di screening (registrazione e identificazione) dei migranti. Potrà essere effettuato ovunque (sia alle frontiere che all’interno del territorio), ma i cittadini di paesi terzi sottoposti a screening dovranno essere a disposizione delle autorità, che con lo scopo di effettuare i controlli potranno detenerli. In compenso, “I deputati hanno garantito un meccanismo di monitoraggio forte e indipendente in ciascuno stato membro per proteggere i diritti fondamentali delle persone sottoposte allo screening”, secondo la narrazione degli eurodeputati.

Tutte queste norme, che hanno l’obiettivo di rispondere anche a un’opinione pubblica per buona parte ostile alle popolazioni migranti, arrivano alla fine di un anno che ha certo visto un aumento degli arrivi in Europa, ma in misura forse minore rispetto alla percezione comune e alla strumentalizzazione propagandistica nel dibattito pubblico.

Appena pochi giorni fa, infatti, l’agenzia europea Frontex ha certificato che nei primi 11 mesi del 2023 gli ingressi in Ue sono stati circa 355mila, aumentati del 17% in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Parliamo di un numero di persone pari allo 0,07% della popolazione dell’Unione europea.

Se il mar Mediterraneo centrale si conferma la rotta più attraversata (circa 152mila persone, +61%), i Balcani occidentali hanno visto una diminuzione degli ingressi del 28%. E proprio la cosiddetta “rotta balcanica” (percorsa via terra) sembra essere tra i principali obiettivi delle norme del patto. Forse ancora di più che i canali di ingresso da sud via mare, dove la chiusura delle frontiere e procedure velocizzate ai confini sono per natura più complicati.

foto di Marina Federica Patteri