L’insularità nel diritto internazionale.

Il tema del regime giuridico delle isole nel diritto internazionale è collegato, in un primo momento, a contese fra Stati per il riconoscimento della propria sovranità su determinate isole. Successivamente, negli anni Trenta del secolo scorso, il tema
dell’insularità si riscontra nell’ambito del dibattito sulla codificazione del diritto del mare. In tale occasione emerge in modo unanime la volontà di riconoscere alle isole un proprio mare territoriale e si tenta di giungere ad una definizione condivisa di isola, che avrebbe presupposto una posizione comune circa l’esigenza di distinguere, e in che termini, fra isole naturali e isole artificiali.

Negli anni Ottanta, il riferimento all’insularità si rinviene nella Convenzione delle Nazioni unite sul diritto del mare del 10 dicembre 1982. All’art. 121 (“Regime giuridico delle isole”) l’isola è definita come “una distesa naturale di terra circondata dalle acque, che rimane al di sopra del livello del mare ad alta marea”. Il secondo paragrafo dell’art.121 dispone che si applichino alle isole le norme del trattato sul mare territoriale, la zona contigua, la zona economica esclusiva e la piattaforma continentale, mentre il terzo stabilisce che gli scogli che non si prestano all’insediamento umano né hanno una vita economica autonoma non possono possedere né la zona economica esclusiva né la piattaforma continentale.

L’insularità nell’ordinamento dell’Unione europea. Il diritto dell’Unione europea riconosce fondamentalmente tre categorie di isole: le isole periferiche, che sono quelle che fanno parte del continente europeo; le regioni ultraperiferiche, intese come territori appartenenti agli Stati membri che si trovano a lunga distanza dall’Europa; i paesi e i territori d’oltremare, che sono isole, appartenenti agli Stati membri ma non facenti parte dell’Unione europea (alla quale risultano
collegati attraverso accordi di associazione).

Quanto alle isole periferiche, quelle che maggiormente si segnala l’assenza di una definizione giuridica nei trattati. L’unica definizione delle regioni insulari a livello europeo è quella adottata da Eurostat, per le proprie finalità istituzionali (cioè
statistiche). Si tratta delle regioni NUTS 3 interamente costituite da isole, laddove queste ultime sono definite come i territori aventi una superficie minima di 1 km², con una distanza minima tra l’isola e il continente di 1 km e con una
popolazione residente superiore a 50 abitanti, che non dispongono di un collegamento permanente con la terraferma. La norma cardine del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) è l’art.174, secondo cui l’UE “sviluppa e prosegue la propria azione intesa a realizzare il rafforzamento della sua coesione economica, sociale e territoriale”, al fine di promuovere uno sviluppo armonioso dell’insieme dell’Unione. L’intento della politica di coesione è quello di ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni e il ritardo delle regioni meno favorite.

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Il terzo paragrafo, che elenca le regioni interessate da detta politica, menziona anche le “regioni insulari”, in quanto territori “che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici”. Sul tema si segnala la Risoluzione del Parlamento europeo del 4 febbraio 2016 sulla condizione di insularità (2015/3014(RSP)). Il documento sollecita, fra l’altro, la Commissione dell’UE: i) a fornire una definizione chiara del tipo di svantaggi geografici, naturali e demografici permanenti che le regioni insulari possono presentare con riferimento all’articolo 174 TFUE; ii) a spiegare come intende dare attuazione al disposto dell’articolo 174 TFUE relativamente agli svantaggi permanenti delle regioni insulari; iii) a riconoscere l’importanza di predisporre misure di sostegno per contrastare il significativo trend di spopolamento delle regioni insulari; iv) ad avviare un’analisi sui costi supplementari che la condizione di insularità determina a livello dei sistemi di trasporto di persone e merci e dell’approvvigionamento energetico nonché in termini di accesso al mercato, in
particolare per le PMI; v) a istituire una categoria omogenea, composta dai territori insulari, e a tener conto di altri indicatori statistici, oltre al PIL, in grado di riflettere la vulnerabilità economica e sociale conseguente agli svantaggi naturali permanenti; vi) a porre in essere un “Quadro strategico dell’Unione per le isole”, al fine di collegare gli strumenti suscettibili di produrre un impatto significativo sul territorio; vii) a istituire uno “sportello isole” collegato alla Direzione generale della Politica regionale e urbana della Commissione e per coordinare e analizzare le tematiche connesse alle regioni insulari; viii) a presentare una comunicazione contenente una “Agenda per le regioni insulari dell’UE” e, a seguire, un Libro bianco che monitori lo sviluppo delle regioni insulari; ix) a tener conto della situazione specifica delle regioni insulari in sede di preparazione della proposta relativa al quadro finanziario pluriennale in elaborazione.

Inoltre, nell’atto di indirizzo, il Parlamento sottolinea l’importanza: di migliorare i collegamenti attraverso le rotte marittime, l’accesso ai porti e i servizi di trasporto aereo; di potenziare le infrastrutture digitali; di rafforzare l’offerta di
istruzione; di tener conto dei rischi naturali connessi al cambiamento climatico; di ridurre la tassazione e procedere a una semplificazione amministrativa per attrarre gli investimenti; di considerare lo sforzo sostenuto da talune realtà insulari in
relazione ai flussi migratori, che suggerisce uno sforzo comune dell’Unione.

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Attenzione al tema dell’insularità è stata posta anche da parte del Comitato europeo delle regioni. In particolare, nel corso della 123a sessione plenaria dell’11 e 12 maggio 2017, nel parere su “L’imprenditorialità nelle isole: il contributo alla coesione territoriale”, il Comitato richiama l’esigenza di una politica di coesione nei riguardi delle isole, inserendosi nel solco tracciato dal Parlamento europeo nella citata Risoluzione. Fra le raccomandazioni politiche contenute nel documento, si fa menzione dell’esigenza di identificare una categoria ad hoc, quella delle isole; della creazione di uno sportello unico in seno alla Commissione; di ampliare la gamma di indicatori, al momento limitata al PIL pro-capite, con cui sia possibile rilevare i fattori che ostacolano lo sviluppo delle isole (quali ad esempio l’indice di competitività regionale e l’indice di accessibilità); di favorire il turismo sostenibile; l’uso delle energie rinnovabili, l’innovazione, la valorizzazione del
patrimonio culturale e naturale.

Un’attenzione specifica è poi rivolta all’opportunità di riconoscere esenzioni in materia di aiuti di Stato nei settori quali quello dei trasporti, la fornitura di energia elettrica, in quanto settori centrali per la competitività delle imprese insulari.

La questione dell’insularità è stata affrontata di recente anche dal gruppo interregionale “regioni insulari”, operante nell’ambito del medesimo Comitato. In tale contesto è stato approvato il cosiddetto manifesto per le isole europee,
documento contenente specifiche proposte per l’effettiva attuazione dell’art. 174 del TFUE al fine di garantire i diritti dei cittadini che abitano nelle isole. Le iniziative e le misure auspicate sono in continuità (oltre che con la posizione già
espressa dal Comitato) con la citata risoluzione del Parlamento europeo. In particolare si chiede, fra l’altro, l’adozione di un libro bianco sulle isole da parte della Commissione; il rafforzamento della dimensione territoriale nelle politiche
settoriali dell’UE (a partire dalla definizione dell’Agenda territoriale); di accordare priorità alla questione insulare e della continuità territoriale nella politica dei trasporti europea; di inserire l’insularità tra i criteri previsti dal sistema di attribuzione dei fondi della futura politica di coesione e più in generale di rafforzare gli investimenti nelle isole; di prevedere una maggiore flessibilità della disciplina in materia di aiuti di Stato; di predisporre misure di contrasto ai
cambiamenti climatici; di incentivare la transizione verso un’economia circolare; di favorire la competitività dell’imprenditoria insulare; di istituire una categoria omogenea che riconosca la condizione di insularità e di calibrare gli interventi di coesione su indicatori ulteriori rispetto al PIL (quali l’indice di competitività regionale e l’indice di accessibilità); che la Commissione istituisca uno “sportello isole” collegato alla DG REGIO della Commissione europea.

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Nell’ambito dell’attività di controllo del Parlamento europeo risultano taluni atti di sindacato ispettivo in cui i Parlamentari europei chiedono di conoscere la posizione della Commissione europea sulle iniziative da adottare in relazione alla condizione di insularità. Fra questi, l’interrogazione O-000013/2016 (B8-0106/2016), presentata da Iskra Mihaylova a nome della Commissione per lo sviluppo regionale, in esito alla quale è stata presentata (e votata) la Risoluzione.

L’atto chiede alla Commissione: di fornire una definizione chiara del tipo di svantaggi naturali o demografici permanenti delle regioni insulari (di livello NUTS-2 e NUTS-3); quali siano gli strumenti e le risorse (nell’ambito della politica di coesione) per ovviare agli svantaggi derivanti dall’insularità; come intende attuare l’articolo 174 TFUE con riguardo agli svantaggi permanenti delle regioni insulari; se ritiene opportuni altri indicatori oltre al PIL, come l’indice di competitività regionale, che non si limitino a misurare i risultati economici ma tengano conto delle specificità delle isole, così da riflettere meglio la vulnerabilità economica e sociale derivante dagli svantaggi naturali permanenti di tali regioni.

Dalla risposta dell’allora Commissario per la politica regionale Cretu si evince, da un lato, la volontà della Commissione di andare incontro alle esigenze delle regioni insulari (sia quelle ultraperiferiche che le altre), specie inalcuni settori come il trasporto, anche nel senso di considerare deroghe al regime degli aiuti di Stato; dall’altro, si evince un impegno affinché
iniziative concrete siano adottate nell’ambito della nuova programmazione finanziaria. Nella risposta ad altre interrogazioni del Parlamento europeo, la Commissaria sostiene da sempre che: i) non vi sia alcuna incongruenza giuridica tra diritto europeo e diritto nazionale per quanto concerne la definizione delle regioni insulari italiane; ii) “[l’] accesso ai programmi e ai fondi dell’UE sarà identico per la Sicilia o la Sardegna a prescindere dal riconoscimento formale dello stato di insularità nel diritto nazionale”.

foto Sardegnagol, riproduzione riservata

fonte Centro studi del Senato e della Camera dei Deputati