Minori, nel Sud Italia 1,7 famiglie su 100 non possono comprare i beni per la scuola.

L’Italia è tra i Paesi europei in cui le disuguaglianze di reddito sono più pronunciate. Disuguaglianze eccessive nella condizione di partenza delle famiglie portano spesso alla riproduzione di divari educativi, sociali ed economici vissuti da bambine e bambini. È questa dinamica che alimenta la trappola della povertà educativa. In questo quadro, diventa utile misurare anche l’incidenza delle disuguaglianze economiche, un aspetto oggetto di una recente pubblicazione della banca d’Italia, che tra i vari higlights conferma che il 46% della ricchezza netta del Paese è posseduta dal 5% della popolazione.

Anche se non è l’unico fattore, ricordano da Fondazione Openpolis, dal momento che la povertà è un fenomeno multidimensionale che va ben oltre le questioni strettamente monetarie, il reddito rimane uno degli aspetti più importanti da monitorare. Uno degli indici maggiormente utilizzati per comprendere al meglio queste dinamiche è l’indice di Gini, che considera le disuguaglianze proprio sul lato reddituale.

Nel 2022 l’Italia riporta un indice di Gini pari al 32,7%. Questo è il quarto valore all’interno dell’Unione europea nel suo complesso e supera la media comunitaria di circa 3 punti percentuali.

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Per dare un riferimento, i Paesi che si caratterizzano per un indice maggiore di quello italiano sono tutti nell’Europa orientale: Bulgaria (38,4%), Lituania (36,2%) e Lettonia (34,3%). A riportare invece i valori minori sono Belgio (24,9%), Repubblica Ceca (24,8%), Slovenia (23,1%) e Slovacchia (21,2%).

Le disparità economiche hanno un impatto diretto anche sulle famiglie con figli. La distribuzione dei redditi è un aspetto cruciale se si pensa al fatto che per le famiglie con minori a carico siano necessarie più risorse economiche per poter arrivare a fine mese senza difficoltà. Stando alle rilevazioni campionarie di Istat, nel 2022 il 25,9% delle famiglie dichiarano che hanno bisogno di oltre duemila euro al mese per non trovarsi in condizione di difficoltà economica. Quota che sale al 30,4% per i nuclei monogenitoriali e al 39,4% per le coppie con figli.

La presenza di figli è quindi una delle variabili che determina maggiormente il bisogno economico di una famiglia. Così come il loro numero. In coincidenza con gli ultimi dati Istat, che indicano come al crescere del numero di figli aumentino anche le risorse necessarie per poter mantenere la famiglia. Tra i nuclei con un unico figlio, il 35,9% indica come soglia minima indispensabile per arrivare a fine mese un reddito che va dai duemila euro in su. Con due figli, questa quota sale al 39,7%. Dai 3 figli in su, quasi la metà delle famiglie (43,6%) dichiara come necessari oltre duemila euro per arrivare a fine mese.

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La difficoltà di arrivare a fine mese influisce anche su come una famiglia spende i propri soldi, favorendo le spese per i beni necessari per la sussistenza.

1 su 100 le famiglie italiane che dichiarano nel 2022 di non avere i soldi per i beni necessari per la scuola. (1,7 considerando solo il sud e 2,2 per le isole).

In questo quadro, la disparità educativa è un elemento cruciale. Povertà educativa ed economica si influenzano a vicenda, diminuendo le possibilità di bambini e ragazzi di usufruire a pieno di tutte le opportunità di apprendimento.

L’istruzione ha quindi un ruolo cruciale per favorire migliori condizioni economiche e lavorative future e attivare meccanismi di mobilità sociale. Garantire un apprendimento di qualità a tutti non soltanto interrompe questa tendenza, ingiusta per i minori e per le loro famiglie, ma consente anche di ridurre gli effetti economici e sociali negativi che si creano all’interno di una comunità.

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È la Calabria, ancora, la regione con la maggior quota di dichiaranti con redditi bassi (41,5%). Seguono altre tre regioni del sud: Sicilia (37,8%), Campania (36,7%) e Puglia (36,5%). Sono invece minori in Piemonte (22,2%), Lombardia (21,4%) e Emilia-Romagna (21,2%).

A livello provinciale, Crotone è la zona con le percentuali più alte (44,38%) seguita da Vibo Valentia (43,1%), Cosenza (42,6%) e Agrigento (42,1%). Sono invece caratterizzate dall’incidenza più bassa le aree di Monza e della Brianza (19,6%), di Lodi (19,2%) e di Bologna (19%). Per quel che riguarda invece i capoluoghi, i valori più alti sono riportati dai tre comuni della provincia di Barletta-Andria-Trani. In particolare, Andria (40,8%), Barletta (40,2%) e Trani (38,3%). Più bassi invece a Modena (19,4%), Belluno (18,9%) e Lodi (18,8%).

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