Le ultime rilevazioni sul costo del lavoro, cuneo fiscale e imposte su famiglie e imprese.

L’Istat ha presentato oggi i principali risultati delle elaborazioni effettuate sui dati raccolti presso le famiglie con l’indagine “Reddito e condizioni di vita” 2021, con riferimento, per quel che riguarda il reddito, agli anni 2019 e 2020.

Si tratta delle elaborazioni che hanno prodotto le stime dei redditi lordi e che permettono quindi di analizzare il costo del lavoro, il cuneo fiscale, il peso delle imposte sulle famiglie e sugli individui e gli effetti sulla diseguaglianza degli interventi fiscali e delle misure di sostegno al reddito.

Nel 2020, con i redditi netti da lavoro dipendente in calo del 5%, il valore medio del costo del lavoro, al lordo delle imposte e dei contributi sociali, è stato pari a 31.797 euro, il 4,3% in meno dell’anno precedente. La retribuzione netta a disposizione del lavoratore era pari a 17.335 euro e costituiva poco più della metà del totale del costo del lavoro (54,5%).

Il cuneo fiscale e contributivo, ossia la differenza tra il costo sostenuto dal datore di lavoro e la retribuzione netta del lavoratore, è stata in media pari a 14.600 euro e sebbene si riduca del 5,1% rispetto al 2019 continua a superare il 45% del costo del lavoro (45,5%). I contributi sociali dei datori di lavoro costituiscono la componente più elevata (24,9%), il restante 20,6% risulta a carico dei lavoratori: il 13,9%, sotto forma di imposte dirette e il 6,7% di contributi sociali.

Confrontando le variazioni a prezzi costanti intervenute nelle componenti del costo del lavoro tra il 2007 (anno che precede la prima crisi economica del terzo millennio) e il 2020 risulta che i contributi sociali dei datori di lavoro sono diminuiti del 4%, anche per l’introduzione di misure di decontribuzioni mentre i contributi dei lavoratori sono rimasti sostanzialmente invariati, le imposte sul lavoro dipendente sono aumentate in media del 2%, mentre la retribuzione netta a disposizione dei lavoratori si è ridotta del 10%.

Il reddito medio da lavoro autonomo, al lordo delle imposte e dei contributi sociali, è pari a 24.885 euro annui, con una riduzione del 5,9% rispetto al 2019. Il reddito netto a disposizione del lavoratore autonomo raggiunge il 68,5% del totale (17.046 euro): le imposte rappresentano il 14,1% del reddito lordo e i contributi sociali il 17,4%.

Nel 2020, circa il 76% dei redditi lordi individuali (al netto dei contributi sociali) non supera i 30.000 euro annui: la metà dei redditi lordi individuali si colloca tra 10.001 e 30.000 euro annui, oltre un quarto è sotto i 10.001 euro e soltanto il 3,7% supera i 70.000 euro.

Il sistema fiscale e redistributivo consente di ridurre la disuguaglianza nella distribuzione dei redditi di 4,2 punti percentuali, se misurata dall’indice di concentrazione di Gini (da 37,1 dei redditi familiari equivalenti lordi a 32,9 dei redditi familiari equivalenti netti), e di 1,5 punti in termini di distanza tra il quinto più ricco della distribuzione e il quinto più povero (da 7,3 dei redditi familiari equivalenti lordi a 5,9 dei redditi familiari equivalenti netti).

A livello familiare il carico fiscale è mediamente più basso in corrispondenza delle famiglie monopercettore con minori: le aliquote vanno dall’11,4% per le coppie con tre o più figli e almeno un minore, al 13,7% per le famiglie monogenitore con uno o più minori.

Con un’aliquota media del 22%, le coppie di anziani senza figli sono la tipologia su cui grava il maggior prelievo fiscale nell’anno di inizio della pandemia, indipendentemente dal numero di percettori in famiglia.

Le famiglie con un solo percettore di reddito (prevalente) da lavoro autonomo presentano, lungo tutta la distribuzione dei redditi, aliquote medie fiscali inferiori rispetto alle restanti famiglie monopercettore, confermando e consolidando la posizione di vantaggio relativo già osservata nel precedente anno. Fra il 2019 e il 2020, l’aliquota media fiscale delle famiglie con unico percettore di reddito da lavoro autonomo passa dal 18,1% al 17,6%.Sulle famiglie del Mezzogiorno il carico fiscale pesa meno rispetto al resto del Paese: 16,2%, contro 19,2% del Nord-est, 19,4% del Centro e 20,5% del Nord-ovest. Le prime possiedono, infatti, un più elevato numero di familiari a carico (con detrazioni di conseguenza più elevate) e dispongono di redditi mediamente più bassi (anche all’interno di ciascuna fascia di reddito).

Nel 2020 si stima che la riduzione del cuneo fiscale (bonus Irpef e trattamento integrativo) abbia interessato 12,7 milioni di persone, per una spesa complessiva di 10,8 miliardi di euro di trasferimenti, pari a 850 euro pro capite. Si tratta per lo più di lavoratori dipendenti che non percepiscono altre componenti assimilate (56,9%) e di soggetti che accompagnano periodi retribuiti a periodi di disoccupazione indennizzata (34,6%).

Il beneficio fiscale è andato maggiormente a vantaggio dei salariati appartenenti ai quinti di reddito familiare equivalente medio-alti: il 17,3% è andato a vantaggio dell’ultimo quinto (il più benestante), il 26,4% a beneficio del quarto quinto (cioè il gruppo appena al di sotto di quello più abbiente), il 24,1% al terzo quinto (corpo centrale della distribuzione), il 20,3% al secondo e l’11,9% al primo quinto (ovvero il più povero).

Costo del lavoro in calo nel 2020 a seguito della contrazione dei redditi da lavoro dipendente. Nel 2020, le misure senza precedenti introdotte per mitigare gli effetti della pandemia Covid-19 sono state indirizzate a sostenere i redditi delle famiglie e la liquidità delle imprese mediante trasferimenti diretti e politiche fiscali che hanno ampliato l’efficacia di strumenti preesistenti, ne hanno introdotti di nuovi, in particolare per i lavoratori autonomi e le famiglie a basso reddito1, hanno cancellato o differito alcuni pagamenti.

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L’insieme delle misure straordinarie ha attutito gli effetti della pesante contrazione economica, contenendo il calo dei redditi netti delle famiglie nel loro complesso in termini sia nominali (-0,9%) sia reali (-0,8%), ma con i redditi da lavoro dipendente e da lavoro autonomo diminuiti rispettivamente del 5% e del 7,1% e quelli da trasferimenti sociali cresciuti del 9,4%.

Se si guarda nello specifico ai redditi da lavoro dipendente lordi e al costo del lavoro (somma delle retribuzioni lorde dei lavoratori dipendenti e dei contributi sociali a carico dei datori di lavoro), i dati dell’indagine “Reddito e condizioni di vita” (EU SILC) stimano che nel 2020 il valore medio del costo del lavoro sia pari a 31.797 euro, in calo del 4,3% rispetto all’anno precedente.

La retribuzione netta (17.335 euro) a disposizione del lavoratore costituisce poco più della metà del totale del costo del lavoro (54,5%). Il cuneo fiscale e contributivo, ossia la somma dell’imposta personale sul reddito da lavoro dipendente e dei contributi sociali del lavoratore e del datore, con un valore medio di 14.600 euro, rappresenta uno degli indicatori più rilevanti del carico fiscale. Sebbene nel 2020 il cuneo si riduca in media del 5,1% rispetto al 2019, continua a superare il 45% del costo del lavoro (45,5% nel 2020 e 45,9% nel 2019), collocando l’Italia tra i paesi con il più alto carico fiscale nell’Unione europea.

La tassazione del lavoro dipendente, crescente in misura più che proporzionale rispetto alla retribuzione, influenza la domanda e l’offerta di lavoro e talvolta può costituire un disincentivo alla piena partecipazione al mercato del lavoro. I contributi sociali pagati dai datori di lavoro costituiscono la componente più elevata del cuneo fiscale e contributivo (24,9%), mentre il restante 20,6% risulta a carico dei lavoratori: il 13,9%, sotto forma di imposte dirette e il 6,7% di contributi sociali. Nel 2020, i contributi sociali dei datori di lavoro si riducono in media del 4,1% e la tassazione sui redditi da lavoro dipendente del 5,5% a seguito della contrazione dei redditi percepiti dai lavoratori e degli sgravi contributivi introdotti per l’assunzione dei giovani e per il Mezzogiorno.

A livello territoriale, il costo del lavoro è mediamente più alto al Nord, dove i redditi sono più elevati, rispetto alle altre ripartizioni; ne deriva che la quota di retribuzione netta del lavoratore raggiunge il valore minimo, 53,3%, nel Nord-ovest. Anche le differenze di genere risultano evidenti: il costo del lavoro delle percettrici di reddito da lavoro dipendente è mediamente pari al 74% di quello dei dipendenti e la retribuzione netta è il 77% di quella maschile, analogamente a quanto registrato nel 2019, con differenziali salariali che perdurano nel tempo.

Cuneo fiscale più elevato per dirigenti, minore per lavoro non qualificato. Il cuneo fiscale e contributivo risulta progressivo ed è più elevato all’aumentare dell’età e del titolo di studio che consente di accedere a lavori più remunerativi. Nel 2020, passa dal 41,5% per i dipendenti con meno di 35 anni di età, al 46,9% per quelli tra i 55 e i 64 anni; dai 65 anni in poi la componente contributiva si contrae e il cuneo scende al 38,9% del costo del lavoro. Il cuneo raggiunge il valore massimo del 52,3% del costo del lavoro per i dirigenti mentre per gli operai scende al 43,9%. Per le lavoratrici, che mediamente percepiscono redditi più bassi, il cuneo risulta di oltre due punti percentuali inferiore a quello degli uomini (43,9% contro 46,4%).

Il cuneo fiscale e contributivo è inoltre molto più elevato per chi ha un contratto di lavoro a tempo indeterminato (46,3% contro 39,5% di chi ha un contratto a termine) e un orario di lavoro a tempo pieno (46,4% rispetto a 40,7% di chi lavora meno di 30 ore settimanali); si attesta al 45,8% per i cittadini italiani contro il 42,1% di chi non ha la cittadinanza italiana. A livello territoriale, il cuneo è più elevato nel Nord-ovest (46,7%) e più basso al Sud e nelle Isole (43,2%), dove i redditi risultano mediamente inferiori.

La stima delle componenti del costo del lavoro per settore di attività economica evidenzia come nel 2020 il cuneo fiscale e contributivo risulti più basso nel settore dell’agricoltura, silvicoltura e pesca (39%), dove i redditi sono inferiori alla media nazionale. I valori più elevati si rilevano invece tra i dipendenti del settore delle attività finanziarie e assicurative (50,3%) e dei servizi di informazione e comunicazione (pari al 49,4% del costo del lavoro). I contributi sociali a carico del datore di lavoro sono più elevati nei settori delle costruzioni (27,3%) e dell’industria (26,6%) mentre le imposte dirette per i lavoratori dipendenti raggiungono il 19,9% nelle attività finanziarie e assicurative e il 17,7% nei servizi di informazione e comunicazione.

Circa tre quarti dei redditi lordi individuali non supera i 30mila euro annui. La distribuzione dei redditi lordi individuali mostra nel 2020 un aumento consistente rispetto al 2019 della quota dei redditi della classe inferiore (meno di 10.000 euro) in particolare per i redditi da lavoro autonomo (41,7% nel 2020 rispetto al 35.5% nel 2019) e da lavoro dipendente (25% rispetto al 21,3% del 2019). Si riducono di conseguenza i redditi di queste fonti che si collocano nelle classi da 15.001 fino ai 70.000 euro. Per i redditi da pensione, esclusi dalla contrazione del mercato del lavoro indotta dalla pandemia, nel 2020 vi è un aumento per i redditi nelle classi superiori ai 15.000 euro lordi annui.

Nel 2020, la metà dei redditi lordi individuali risulta compresa tra i 10.001 e i 30.000 euro annui, un quarto (il 25,5%) è sotto i 10.000 euro e il 20,8% risulta tra 30.001 e 70.000; solo nel 3,7% dei casi si superano i 70.000 euro annui.

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La distribuzione per fonte indica che il 41,7% dei redditi da lavoro autonomo e il 26,9% di quelli da pensione si collocano sotto i 10 mila euro annui, rispetto al 25% dei redditi lordi da lavoro dipendente. Questi ultimi risultano maggiormente concentrati nelle classi centrali: il 41,1% è compreso tra i 15.001 e i 30.000 euro annui (contro il 24,1% dei redditi da lavoro autonomo e il 37,9% di quelli da pensione). Soltanto il 2,2% dei redditi lordi da lavoro dipendente supera i 70.000 euro anni, a fronte del 4,9% dei redditi da lavoro autonomo e del 2,8% di quelli da pensione.

Gap di genere ampio anche nei redditi da lavoro autonomo. Nel 2020, i redditi individuali da lavoro autonomo, al lordo delle imposte e dei contributi sociali e al netto dei voucher lavoro, si riducono del 5,9% rispetto al 2019 (da 26.457 a 24.885 euro). Molto marcato è il calo al Centro (-8,6%) e al Nord-est (-6,7%). Nel primo anno di pandemia, per i lavoratori autonomi vi è stata una sospensione e in parte l’esonero dal pagamento dei contributi sociali che quindi si riducono del 6,6% rispetto al 2019.

Dopo il prelievo fiscale e contributivo, il reddito disponibile da lavoro autonomo è il 68,5% del reddito iniziale: le imposte sono il 14,1% del reddito lordo e i contributi sociali (per le prestazioni previdenziali e assistenziali) il 17,4%.

Le differenze di genere sono evidenti anche per i redditi da lavoro autonomo: nel 2020, quelli delle lavoratrici sono in media pari a 19.523 euro contro i 27.948 euro dei percettori maschi. Le donne, pur rappresentando più di un terzo dei lavoratori autonomi (36,4%), producono complessivamente un reddito che ammonta solo al 28,5% del totale. Inoltre, poiché la crisi economica innestata dalla pandemia ha colpito in particolare le donne, il reddito delle lavoratrici autonome si è ridotto del 6,2% rispetto al 2019, a fronte di una contrazione del 5,6% dei redditi dei lavoratori.

Marcate anche le differenze territoriali: come per il lavoro dipendente, nel 2020 i redditi lordi da lavoro autonomo risultano più elevati nel Nord-ovest (28.806 euro) e di conseguenza anche la tassazione e i contributi sociali. Al Sud e nelle Isole sono pari a 20.124 euro, ossia a circa il 70% dei redditi da lavoro autonomo del Nord-ovest.

Carichi più elevati per imprenditori e liberi professionisti. Considerando il carico tributario sul reddito da lavoro autonomo, l’incidenza delle imposte dirette sui redditi da lavoro autonomo, al netto dei contributi sociali e dei voucher lavoro, si riduce di 0.7 punti percentuali (da 17,8% nel 2019 a 17,1% nel 2020). La riduzione è più marcata per la classe di età 35-44 anni (-2.3) e tra i 55 e i 64 anni (-1,7), mentre aumenta per chi ha 65 anni e più (+2,3).

Nel 2020, l’incidenza delle imposte è superiore alla media nazionale nel Nord-ovest (19,5%) e per i lavoratori autonomi uomini (18,1%). Inoltre è più alta per chi ha conseguito la laurea e ha un lavoro più remunerativo (20,1%) e per gli autonomi che hanno lavoratori alle dipendenze: in questo caso il peso delle imposte è maggiore di oltre 7 punti percentuali rispetto ai lavoratori autonomi senza dipendenti (20,8% contro 13,1%). Questi ultimi sono generalmente autonomi con partita Iva, ossia imprese individuali, che possono accedere al regime fiscale agevolato (come il regime forfettario). Infine, l’incidenza delle imposte è maggiore per coloro che lavorano a tempo pieno (30 ore e più alla settimana) e l’aliquota supera di oltre 5 punti percentuali la tassazione di chi mantiene un orario ridotto (17,4% contro 11,8%).

Per quanto riguarda l’attività professionale, il carico fiscale è più contenuto per i commercianti (13,9%) e gli agricoltori (15,4%) e maggiore per imprenditori, liberi professionisti e lavoratori in proprio (16,9%). L’incidenza delle imposte risulta più bassa per i percettori di reddito autonomo con cittadinanza straniera (11,9% contro 17,3% dei lavoratori autonomi italiani).

Per redditi da lavoro dipendente aliquota media più elevata. Nel 2020, l’incidenza delle imposte dirette sul totale del reddito lordo individuale è pari al 19,1%, in riduzione rispetto al 19,4% del 2019. La contestuale contrazione dei redditi causata dalla pandemia è stata più accentuata per i redditi da lavoro autonomo (-0,7) e da lavoro dipendente (-0,5) mentre per i redditi da pensione vi è stato un aumento del carico (+0,3). I benefici fiscali previsti dall’ordinamento in termini di deduzioni e detrazioni d’imposta causano differenze rilevanti nel carico fiscale rispetto alla fonte e alla classe di reddito: vi sono, infatti, riduzioni dell’imposta lorda differenziate per tipologia di reddito (dipendente, pensione, autonomo) e per specifiche condizioni individuali del contribuente (come le condizioni di salute, i carichi familiari, le spese di particolare rilevanza quali mutui, istruzione o altro).

Soltanto per i redditi più bassi (inferiori a 10.000 euro), l’incidenza delle imposte è maggiore per i redditi da lavoro autonomo, che risultano concentrati in questa classe, mentre per tutte le altre classi di reddito il carico fiscale è decisamente inferiore, con un distacco rispetto al carico sul lavoro dipendente che si amplia con l’aumentare della classe di reddito e arriva a superare i 7 punti percentuali per i redditi superiori ai 30.000 euro. I redditi da lavoro autonomo sono infatt, sottoposti a un regime fiscale di vantaggio, quale il regime forfettario applicato ai redditi fino ai 65.000 euro annui, a cui si applica un’aliquota Irpef al 15% senza addizionali e senza l’imposta sulle attività produttive (Irap).

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ll sistema fiscale e redistributivo riduce la disuguaglianza. In Italia la tassazione dei redditi è su base individuale, con detrazioni che tengono conto solo in parte delle condizioni familiari del contribuente. Per comprendere appieno gli effetti del prelievo fiscale sul benessere materiale e sulle condizioni di vita delle famiglie occorre valutare il carico tributario rispetto alle entrate di tutti i loro componenti e alla composizione familiare.

Se si considera il totale del prelievo fiscale e contributivo e l’insieme dei trasferimenti a vantaggio delle famiglie è possibile valutare gli effetti di questi ultimi sulla disuguaglianza nella distribuzione dei redditi utilizzando l’indice di concentrazione del Gini prima e dopo l’intervento pubblico.

Nel 2020, l’indice di Gini sul totale dei redditi equivalenti, al lordo delle imposte e dei contributi sociali, è pari a 37,1 (36,5 nel 2019), mentre scende a 32,9 per i redditi netti (32,5 nel 2019), anche grazie alle misure di sostegno erogate dallo Stato che, avendo come principale platea di beneficiari i redditi medio-bassi, contribuiscono a ridurre di 4,2 punti percentuali il livello di disuguaglianza. A livello territoriale, la diseguaglianza è più elevata nel Mezzogiorno (39,3) e segna il valore più basso nel Nord-est (32,2), ma nel Sud e nelle Isole l’intervento pubblico risulta più incisivo e consente di ridurre di 4,4 punti la disuguaglianza stimata sui redditi netti.

Aliquote medie più basse per le famiglie con minori. Nel 2020, l’aliquota media del prelievo fiscale a livello familiare è pari al 18,9%, in lieve ribasso rispetto all’anno precedente (-0,4%). La presenza in famiglia di un componente minore (nella maggior parte dei casi si tratta di figli di coppie) consente ai nuclei familiari con un solo percettore di ottenere un vantaggio fiscale; i valori più bassi delle aliquote si registrano infatti tra le coppie con tre o più figli e almeno un minore (11,4%) e tra le monogenitore con uno o più minori (13,7%).

Il trattamento relativamente favorevole di cui godono le famiglie con minori è determinato, oltre che dalle maggiori detrazioni per i componenti a carico, anche dalla possibile fruizione di assegni al nucleo familiare (esenti da imposta), modulati in modo tale da crescere all’aumentare del numero dei componenti. Le coppie con figli minori mostrano infatti un’incidenza dell’imposta decrescente al crescere del numero dei figli, soprattutto tra i redditi medio-bassi (sotto 40.000 euro). Il vantaggio fiscale dovuto alla presenza di minori è ugualmente tangibile tra le famiglie con più percettori che ricadono nella stessa fascia di redditi medio-bassi, mentre tende ad azzerarsi in corrispondenza delle famiglie più ricche. Il vantaggio fiscale tende infatti ad assottigliarsi man mano che aumenta il livello di reddito familiare e ciò vale anche per le famiglie monopercettore.

Poiché il sistema fiscale italiano non prevede trasferimenti monetari ai cosiddetti incapienti (ovvero ai contribuenti che, a causa delle loro ridotte entrate, riportano un’imposta lorda così bassa o nulla da non poter fruire pienamente delle detrazioni spettanti), accade spesso che le famiglie della classe di reddito 0-15mila euro non riescano ad abbattere ulteriormente il loro carico fiscale, pur in presenza di un numero considerevole di figli. Ciò avviene soprattutto se il già basso reddito familiare proviene da una sommatoria di redditi individuali ridotti: nella prima fascia di reddito, la probabilità che si verifichi una situazione di incapienza è tre volte più elevata nelle famiglie con due o più percettori rispetto alle famiglie con un solo percettore.

Carichi fiscali più elevati per le coppie di anziani. Con un’aliquota media del 22%, le coppie di anziani senza figli rappresentano la tipologia su cui grava il maggior prelievo fiscale nell’anno di inizio pandemia (a prescindere dal numero di percettori). Seguono a distanza in questa classifica le coppie con età inferiore ai 64 anni (20,7%) e le persone anziane sole (20%). Rispetto all’anno 2019, le coppie di anziani vedono aumentare l’incidenza delle imposte di un punto percentuale (+1,5% tra le monopercettore); mentre i nuclei monogenitore con minori e le coppie con un minore sono tra quelle che nei due anni registrano il più significativo alleggerimento del peso fiscale (rispettivamente -2,6% e -1%). I single di età inferiore ai 64 anni, tra le tipologie familiari monoreddito più penalizzate nell’anno pre-pandemia (19,8%), beneficiano in misura analoga della contrazione dei livelli d’imposizione (-1,2% nel collettivo delle monopercettore e sul totale).

Avendo redditi comparativamente più bassi, le famiglie con un solo percettore hanno un carico fiscale minore (18,4%) delle famiglie con due o più percettori (-0,6%). A parità di classe di reddito familiare la situazione si inverte: il prelievo fiscale sulle famiglie monopercettore è sempre superiore a quello delle famiglie con più percettori, infatti il reddito totale di queste ultime, essendo la somma dei redditi dei componenti che percepiscono redditi medi individuali più bassi, presenta una minore tassazione complessiva.

Le famiglie con un solo percettore di reddito (prevalente) da lavoro autonomo presentano, lungo tutta la distribuzione dei redditi, aliquote medie fiscali inferiori rispetto alle restanti famiglie monopercettore, confermando e consolidando la posizione di vantaggio già osservata nel precedente anno. Fra il 2019 e il 2020, l’aliquota media fiscale delle famiglie con unico percettore di reddito da lavoro autonomo passa dal 18,1% al 17,6%, con una riduzione paragonabile alle famiglie con unica fonte da lavoro dipendente, ma meno marcata rispetto alle famiglie monopercettore con redditi diversi dal lavoro (rispettivamente dal 19,3% al 18,7% e dal 18,5% al 18,4%).