La magia dell’Egitto al Museo Egizio di Torino: viaggio all’interno di una delle storie più grandiose dell’umanità.
“La strada per Menfi e Tebe passa da Torino”. Una dichiarazione non casuale quella del padre dell’egittologia – nonchè il traduttore della Stele di Rosetta – Jean-François Champollion, riflettendo sulla maestosità dell’allestimento del Museo Egizio di Torino – al terzo posto tra i Musei più visitati dopo la Galleria degli Uffizi e il Palazzo Ducale – esempio di buona pratica museale italiana che, con una collezione di oltre 40mila reperti, rappresenta un punto privilegiato per ripercorrere l’affascinante storia della civiltà egizia.
Una collezione dalle due anime quella del Museo Egizio: la prima, quella antiquaria, proveniente dalla collezione dell’esploratore e diplomatico italiano, al servizio della Francia, Bernardino Drovetti, collezione acquistata dal re di Sardegna Carlo Felice nel 1824; la seconda, quella archeologica, frutto dei ritrovamenti effettuati negli scavi della Missione Archeologica Italiana in Egitto, tra il 1900 e il 1935, promossi prima da Ernesto Schiaparelli e poi da Giulio Farina, che portarono, intorno agli anni trenta del ‘900, la collezione a contare oltre 30000 pezzi in grado di testimoniare ed illustrare tutti i più importanti aspetti dell’Antico Egitto e del Periodo Greco-Romano, riunendo manufatti di straordinario valore storico e archeologico.
Attraverso un percorso perfettamente contestualizzato – e non poteva essere altrimenti data l’importanza delle collezioni presenti e la quasi bicentenaria attività di ricerca del Museo Egizio, tale da fare di Torino una delle capitali mondiali dell’Egittologia – non è difficile restare rapiti dalla società egizia che, a discapito di un certo immaginario collettivo sugli antichi egizi, per lo più legato al periodo del Nuovo Regno (1550-1069 a. C.), dimostra tutto il suo fascino e complessità. Qualità confermate a partire dai primi reperti dell’allestimento del Museo Egizio, risalenti al Periodo Predinastico (3900-3150 a. C.), la fase precedente alla formazione dello stato unitario egizio dove troviamo nuclei tribali sparsi nel territorio. Un periodo per certi versi avvolto nell’ambito delle ipotesi, data la mancanza di fonti scritte, ma sul quale il Telo di Gebelein – la più antica pittura su lino mai rinvenuta – può comunicare molto, tra processioni di barche sul Nilo, figure danzanti e la caccia all’ippopotamo. Testimonianza, quindi, molto importante, poiché illustra alcuni stralci di vita quotidiana e comunitaria del tempo.
Sempre del Periodo Predinastico, nell’esposizione colpisce la mummia di uomo adulto, posizionato in posizione fetale all’interno di una vasca ovale: questa era infatti la forma tradizionale della fossa in cui veniva deposto il defunto, che veniva scavata direttamente nel deserto in modo da portare all’essiccazione naturale del corpo, grazie all’azione del natrium. La conservazione delle membra, già in quest’epoca tanto antica, era per gli Egizi un elemento fondamentale nella ritualità funebre, poiché solo attraverso il mantenimento dell’unità del corpo si poteva ambire alla vita eterna. Sempre di questo periodo al Museo Egizio è possibile trovare il sarcofago del Principe Duaenra, visir e scriba dei libri sacri, nonché figlio del faraone Chefren e della regina Maresankh. Un sarcofago retto, dato l’importante peso, da una importante soppalco perfettamente integrato con l’allestimento museale. Facevano ancora parte dell’architettura delle tombe del Predinastico le steli falsaporta, che rappresentavano aperture simboliche tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti, garantendo al defunto il sostentamento per l’aldilà.
Una preoccupazione ‘maniacale’ per l’aldilà ma anche amore per la vita degli antichi egizi che si respira passo dopo passo all’interno dell’allestimento del Museo Egizio che prosegue nel Periodo Protodinastico, dove si conclude la fase di formazione dello stato unitario che nasce dall’unione tra l’Alto Egitto e il Basso Egitto. Unificazione attribuita ad un sovrano chiamato Meni, mentre altri studiosi hanno avanzato ipotesi alternative sull’identità dell’unificatore dell’Egitto associandolo chi alla figura parzialmente mitica, del Re Scorpione chi ad Aha, di norma indicato come il successore di Narmer. Di questo periodo, colpisce soprattutto la statua della principessa Redit, lavorata nei dettagli con estrema precisione. Elemento statuario che diventa una componente importantissima del contesto funerario, simboleggiando la sostituzione del corpo terreno o, meglio, la forza vitale del defunto.
Quasi mille anni dopo l’Egitto entra nell’Antico Regno (2700-2192 a. C.), con la comparsa – giusto per citare alcune importanti novità – dei geroglifici, dei primi sarcofaghi in legno, delle piramidi e dei primi ritratti che nella tradizione egizia non sono mai personali bensì canonici. Di questo periodo, all’interno dell’allestimento del Museo Egizio, merita una particolare citazione la Tomba di Ignoti (databile alla V dinastia), così denominata per l’assenza di indicazioni sui nomi delle persone sepolte e costituita da un corridoio con tre camere, contenenti sarcofaghi, mummie e i rispettivi corredi. Un reperto importante, scoperto da Virginio Rosa nel 1911 a Gebelein, per comprendere il rapporto tra l’arte egizia e l’architettura naturale. Di questa parte del museo colpisce in particolar modo la decorazione nel viso di una mummia, quasi a voler ricostruire l’integrità del corpo del defunto, e il bendaggio del corpo, avvolto non in modo unitario.
Sempre dello stesso periodo la Tomba di Iti (indicato come capo delle truppe e tesoriere del re) e della moglie Neferu, anch’essa scoperta nel 1911, a una trentina di chilometri a sud di Tebe, l’odierna Luxor. Una tomba semi-rupestre in una corte scavata nella roccia, con sedici pilastri che delimitavano un corridoio sul cui lato interno si aprivano una serie di cappelle, perfettamente ricostruita con grande maestria all’interno del Museo Egizio, grazie all’allestimento ideato dal curatore Beppe Moiso. Una modalità espositiva a dir poco azzeccata per portare l’Egitto dentro il museo e restituire elementi fondamentali della società egizia, impregnata di un profondo realismo e attaccamento alla quotidianità, come dimostrato dalle grandi pitture parietali.
Procedendo nel percorso si entra nel Primo Periodo intermedio (2192-2055 a. C.), con il sarcofago e parte del corredo rinvenuti nella Tomba di Ini, guardasigilli e capo dei sacerdoti del tempio di Sobek. Un sarcofago particolarmente interessante data anche la presenza di due occhi disegnati sulle pareti lignee, gli occhi di Udjat, che sarebbero serviti al defunto coricato su un fianco per poter mantenere il contatto tra la vita terrena e l’aldilà. Importati in questo periodo – dove si assiste ad una fase di sfaldamento del potere centrale a favore dei governatori provinciali, i nomarchi – anche le tavole d’offerta e le steli in pietra che perpetuano il ricordo del defunto riportandone oltre che una formula funeraria, la sua immagine, il nome e i titoli. Celebrazioni che spettavano, generalmente, al primogenito durante le feste.
Il percorso poi prosegue nel Medio Regno (2055-1650 a. C.), periodo storico che corrisponde ad una ripresa dello stato unitario dopo la fase di frammentazione del potere seguita al crollo dell’Antico Regno. Del Medio Regno nel museo, sono particolarmente rilevanti la tomba di Shemes e Rehuerausen, la tomba e le statue di Minhotep, gli oggetti del corredo di sepolture femminili, una sorta di antico beauty case per prendersi cura del corpo, contenente cassette per i cosmetici, pettini, vasetti per unguenti, spatole in osso e specchi in bronzo, i reperti provenienti dalle tombe di Uahka I, Ibu e Uahka II e, infine, la ricchissima decorazione all’interno dei sarcofaghi che, oltre agli immancabili occhi udjat, riporta anche testi funerari, formule d’offerta e raffigurazioni di offerte, come facilmente rilevabile nel sarcofago di Mereru.
Da qui ha inizio il Secondo periodo intermedio dell’Egitto (1650-1550 a. C.) , fase della storia egizia, tra il Medio Regno ed il Nuovo Regno, caratterizzata da lotte interne nello Stato e dall’invasione degli Hyksos. Un periodo sin dall’antichità identificato con il soggiorno in Egitto degli Ebrei. Nella Bibbia, infatti, Giuseppe viene condotto sul cocchio che contraddistingueva il primo ministro egiziano e il cavallo dovette essere introdotto in Egitto dagli Hyksos perché compare solo in documenti successivi.
A questo punto del percorso di visita si entra nel Nuovo Regno (1550-1069 a. C.), periodo storico in cui il paese si riunisce nuovamente e dove i faraoni della dinastia tebana sottraggono agli Hyksos il controllo dell’Egitto del nord. In altre parole, la fase maggiormente rappresentata cinematograficamente dell’antico Egitto, nonché quella più stereotipata. Un’età che vede la comparsa dei primi sarcofaghi antropoidi, l’evoluzione degli ushabti, già in uso nel Medio Regno, le piccole statue mummiformi che costituivano elemento integrante ed indispensabile del corredo funebre.
I materiali impiegati nella loro realizzazione potevano essere preziosi come il lapislazzuli oppure comuni come il legno o maiolica. La differenza dei materiali impiegati scaturiva dalla classe sociale del defunto e dalle sue ricchezze. Durante la cerimonia funebre i sacerdoti, con particolari riti magici, davano vita alla statuetta che sarebbe stata tumulata insieme al defunto per accompagnarlo nell’oltretomba. Gli ushabti potevano essere di numero variabile, da pochi a centinaia e avevano il compito di lavorare nella vita ultraterrena al posto del defunto.
Ma nell’allestimento meritano particolare attenzione i due sarcofaghi provenienti da un tomba tebana, la Tomba di Djehutymes, alto funzionario amministratore dei beni del tempio di Amon-Ra a Karnak, il sarcofago antropoide di Puia e i reperti provenienti dal villaggio di Deir-el-Medina (1500 a.C. -1100 a.C.), che ospitava gli artigiani e, in genere, le maestranze preposte alla realizzazione e manutenzione delle tombe degli antichi Re della XVIII, XIX, e XX Dinastia. Squadre di operai specializzate che vivevano in una comunità abbastanza cosmopolita tanto che, su una popolazione maschile lavorativa di circa 100 unità, sono stati riscontrati 30 nomi palesemente stranieri. Sono note, inoltre, le professioni di alcune di tali donne che spaziano dalle “cantatrici” alle “sacerdotesse” dedicate a vari culti, e doveva essere alta anche l’alfabetizzazione riscontrabile dai molteplici “ostraka” rinvenuti ed identificabili come messaggi inviati ai mariti lavoratori alla Valle dei Re e delle Regine. Anche il livello di emancipazione doveva essere garantito se Naunakhe, vedova dello scriba Kenhekhepeshef, poteva disporre dei beni del marito per la distribuzione ai suoi figli di quanto di spettanza.
Un villaggio che ha rappresentato una fonte importante per comprendere la vita degli operai, come riportato nel “Giornale della necropoli” dove erano annotati i lavori giornalieri svolti nella necropoli di Tebe, le presenze e le assenze degli artigiani, le paghe, le merci e i fornitori che giungevano al villaggio, e la ridistribuzione del grano. “Spaccati di quotidianità – ricorda l’egittologa Martina Terzoli – dove possiamo trovare note di assenze dal lavoro per problemi coniugali, per la fabbricazione della birra e, ancora, per la partecipazione a delle cerimonie”. Sempre nel villaggio Deir-el-Medina venne rinvenuto il cosiddetto Papiro dello Sciopero, ovvero la prima attestazione di una vertenza sindacale, dove è riportata nel dettaglio la protesta degli operai specializzati che chiedevano un aumento della paga. Contestazione che si risolse – caso più unico che raro guardando alle vertenze di oggi – con la vittoria degli operai. Un importante documento che non può che far riflettere sull’idea di un Egitto popolato di schiavi, come spesso indicato nella cinematografia moderna, e che porta a dover pensare alla società egizia come ad una civiltà molto articolata e con molti ruoli sociali.
Straordinaria, ancora, la cappella funeraria di Maya e, soprattutto, la Tomba di Kha e della moglie Merit, indubbiamente la tomba non regale più ricca fin ora ritrovata e completa sotto tutti i punti di vista, a partire dal libro dei morti ritrovato al suo interno della lunghezza di 14 metri, che riporta le formule magico-religiose per affrontare al meglio la psicostasia, ovvero la prova della ‘pesatura del cuore’, che avveniva nel Duat, l’oltretomba egizio. Solo chi aveva il cuore leggero, rispetto alla piuma di Maat, figlia del dio-sole Ra, poteva presentarsi al cospetto di Osiride.
In caso contrario il cuore sarebbe stato dato in pasto ad Ammit, “colei che ingoia il defunto”, rappresentata da un mostro composito ai piedi della bilancia, che somma in sé gli animali più pericolosi dell’Egitto, ovvero il leone, l’ippopotamo e il coccodrillo. Non vi fu mai un’edizione canonica e unitaria del Libro dei morti e non ne esistono due esemplari uguali: i papiri conservatisi contengono svariate selezioni di formule magiche, testi religiosi e illustrazioni. Alcuni individui sembrano aver commissionato copie del tutto personali del Libro dei morti, scegliendo probabilmente, con una certa libertà, frasi e formule che ritenevano importanti per il proprio accesso nell’aldilà. Il Libro dei morti era quasi sempre redatto in caratteri geroglifici o ieratici su rotoli di papiro, e talvolta decorato con illustrazioni o vignette del defunto e delle tappe del suo viaggio ultraterreno.
Una parte dell’esposizione ricchissima, composta, ancora, da diciassette tuniche, vesti, biancheria intima (con iniziali), avanzi di cibo fossilizzato, due letti, sgabelli, tavole per il gioco della senet, parrucche, strumenti di misurazione, suppellettili, unguentari, vetri per profumi e bistro e vasellame di vario tipo.
Il percorso espositivo procede poi nel Terzo periodo intermedio (1069-664 a. C.), età di grande confusione per il regno egiziano, con la strepitosa Galleria dei sarcofaghi, provenienti dalla Collezione Drovetti e dagli scavi condotti da Ernesto Schiapparelli nella Valle delle Regine. Tra essi quello dello scriba Betehamon, di Iuefdi, di Nesimendjam, della cantatrice di Tabakenkhonsu, di Amon. Dal Terzo Periodo Intermedio il corpo del defunto veniva avvolto da reticelle funerarie formate da perline cilindriche in faience e su di esse posti gli amuleti, che potevano avere le sembianze di divinità, simboli od oggetti del quotidiano, utilizzati per proteggere il corpo del defunto.
Del Periodo Tardo (664-332 a. C.), nell’allestimento del Museo Egizio sono notevoli le mummie e i sarcofaghi per animali. Animali, spesso domestici, mummificati per fare compagnia ai padroni nell’aldilà. Ancora le mummie delle tre sorelle Tapeni, Tamit e Renpetnefret, contenute in sarcofaghi antropoidi, a loro volta inseriti in sarcofaghi esterni rettangolari a colonnette e i sarcofaghi in pietra di Ibi e del visir Gemenefherbak. Esposizione dove si può avvertire una nuova crisi del Regno Egizio, che perde la sua autonomia a causa del susseguirsi delle occupazioni dei Nubiani, Assiri, Persiani.
Si passa poi allo spazio museale dedicato all’Egitto tolemaico (332-30 a. C.). Un periodo di coesistenza di tradizioni indigene e straniere, con la nascita di nuove divinità e lo sviluppo di uno stile misto egizio-greco.al Egitto Romano Nell’ultima sala del primo piano, invece, sono esposti i reperti appartenenti all’Epoca Romana e all’Epoca Tardoantica. Con la sconfitta nella battaglia di Azio, l’Egitto venne a fa parte dell’impero romano nel 31 a.C. Come lingua appare accanto al greco anche il latino, e con l’affermarsi del Cristianesimo s’impone la lingua “copta”. Il culto di alcune divinità egizie (Iside e Serapide), si diffondono anche fuori dai confini della Provincia d’Egitto. I sarcofaghi in questo periodo perdono le elaborate decorazioni del passato e le immagini degli dei a volte sono accompagnate da segni zodiacali greco-romani.
Dopo qualche ‘assaggio’ dell’Egitto Bizantino e della conquista araba dell’Egitto (641-654 d.C.), il percorso prosegue nella Galleria dei Re, allestita dallo scenografo Dante Ferretti. Un’esposizione suggestiva ma poco contestualizzata, dove sono messe in risalto le grandi statue di alcuni re egizi del Nuovo Regno (Thutmose III, Amenofi II, Tutankhamon, Horemheb, Ramesse II, Sethi II), principi, funzionari del re e divinità egizie (Amon, Ptah, Hathor e Sekmhet).
Notevole, infine, il Tempio di Ellesija, costruito in Nubia tra la prima e la seconda cataratta del Nilo, vicino ad Abu-Simbel, da Thutmosi III (1479-1425 a.C.).
Un viaggio alla scoperta di millenni di storia che tra statue, sarcofaghi, mummie e papiri, non può che avvolgere e trasportare il visitatore all’interno di una delle storie più grandiose dell’umanità, resa unica e speciale non solo per le grandi opere architettoniche dei Faraoni ma, soprattutto, per la semplicità della vita quotidiana degli antichi egizi, esposta ed evocata magistralmente al Museo Egizio.
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