Giovani e politiche giovanili: il punto dei candidati sardi alle Politiche 2022.

In vista del prossimo election day del 25 settembre, volendo andare oltre le dichiarazioni “generalistiche” dei partiti in corsa per il rinnovo del Parlamento italiano, è sempre più pressante l’esigenza di testare la conoscenza dell’attuale quadro delle politiche giovanili in Sardegna da parte dei/delle candidati/e sardi/e al Senato e alla Camera dei Deputati, nella speranza di allontanarsi dalle paludi del noiosissimo “politichese” e spostare il focus della discussione politica sulle future (quanto concrete) iniziative legislative nel settore della gioventù nell’Isola.

Il ‘viaggio’ di Sardegnagol tra i candidati al Parlamento italiano, prosegue con Romina Mura, candidata al plurinominale della Camera per il Partito Democratico.

Romina, secondo le ultime stime del Servizio Ricerca del Parlamento europeo in Europa le regioni con la quota più bassa di bambini e giovani si trovano nella Germania orientale, Spagna e Italia. Nel nostro Paese la Sardegna risulta essere in cima alla classifica con un pallido 25,2% di presenza giovanile. Fatta questa premessa quali interventi vorrebbe proporre in Parlamento per contrastare il declino demografico nell’isola?

Nei miei diversi ruoli istituzionali, da sindaca e poi da parlamentare, mi sono sempre occupata di politiche per favorire la natalità e la residenzialità in Sardegna. Quando ho iniziato a fare la Sindaca a Sadali, c’erano le pluriclassi, dopo 10 anni di politiche per la genitorialità, ho lasciato una 1 classe elementare. Sono fra le firmatarie, insieme a Graziano Delrio, della legge sull’assegno universale di cui usufruiscono 200 mila bambini sardi, e da presidente della commissione Lavoro alla Camera ho promosso la modifica della normativa sui congedi ampliandoli, facendo un ulteriore passo verso i congedi paritari madre-padre. La strada è tracciata. Se dovessi tornare in Parlamento con il Partito democratico, lavorerei all’avanzamento di questi provvedimenti.

Il declino demografico è tema nazionale ed è una fondamentale variabile di sviluppo. Per la Sardegna servirebbe una politica di sviluppo regionale da affiancare alle misure nazionali. Non bastano i finanziamenti a pioggia, serve una strategia precisa: di promozione delle nascite, incentivazione alla residenzialità nei piccoli centri, efficientamento della rete dei servizi essenziali come sanità, scuola, welfare di prossimità. Intervenendo su ciò in modo strutturale e non sporadico come sta facendo la Regione, si riuscirebbe a rendere attrattiva la Sardegna anche per giovani non sardi.

La scommessa non è fermare la mobilità giovanile, che è elemento positivo, ma costruire le condizioni affinché la Sardegna sia attrattiva per i giovani, sardi e non sardi: nel senso che consenta loro di realizzare i loro progetti di studio, di vita e professionali. D’altro canto a livello ambientale e territoriale la nostra isola è uno dei luoghi più belli in cui vivere.

Romina Mura
Romina Mura

Dispersione e abbandono scolastico. In Sardegna oltre 1 ragazzo/a su 10 lascia gli studi prima della fine del percorso scolastico e più di un/una giovane su 4, (circa il 26,1%), vive nella condizione di Neet, ovvero non studia, non lavora e non partecipa ad alcuna attività di formazione. Anche qui su quali proposte di legge punterebbe in caso di elezione in Parlamento?

Il fenomeno della dispersione scolastica, sia esplicita cioè il prematuro abbandono scolastico, sia implicita cioè il compimento del ciclo di studi ma senza l’acquisizione delle competenze previste, è uno dei punti di maggiore fragilità della nostra isola. A seguito dell’inserimento del principio di insularità in Costituzione, con apposito progetto di legge, individueremo la tipologia e insieme la quantità di misure compensative rispetto a tutti quei settori in cui si registrano condizioni di sottosviluppo. L’aggiornamento dei livelli essenziali delle prestazioni e dei servizi terrà conto del fattore insulare quale elemento per definire le misure di riequilibrio. L’istruzione e la formazione sono il primo settore su cui intervenire.

L’organizzazione della rete scolastica e formativa in Sardegna, su cui la Regione ha competenza primaria in virtù della nostra specialità, deve essere rivista sulla base delle nostre specificità demografiche e geografiche. Occorre poi, in Sardegna più che altrove, rafforzare lo strumento dell’orientamento, investire sulla istruzione tecnica e specialistica e riorganizzare il sistema della formazione professionale. Il PNRR mette a disposizione talmente tante risorse che davvero non ci sono più scuse per avviare processi progettuali in grado di fare svoltare la Sardegna.

Gli interventi ministeriali, regionali e locali per i giovani, oltre ad essere sostenuti con budget eufemisticamente parlando irrisori sono uniti dal minimo comune denominatore dell’assenza del più elementare principio di programmazione partecipata con i giovani. Nel caso fosse eletto/a porterebbe in Parlamento una proposta di legge con l’obiettivo di introdurre l’obbligo di coinvolgimento di giovani e organizzazioni giovanili nella pianificazione degli interventi pubblici nel settore della gioventù?

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Le risorse ci sono e anche tante. Il grosso delle risorse del PNRR è destinato alle transizioni: energetica, digitale e sociale. E poi ci sono le altre risorse del Fondo sociale europeo, del Piano di sviluppo rurale, del Fondo di coesione. E aggiungo che già sono attivi anche gli strumenti di progettazione dal basso. Anche qui devo dirle che nel mio lavoro istituzionale ho sempre attivato questi meccanismi. Ritengo non servano altre leggi in tal senso, semmai servono giovani nelle istituzioni che siano loro stessi attivatori di processi e protagonisti delle decisioni. In Sardegna nel Partito democratico abbiamo molti sindaci, assessori e consiglieri comunali giovani e bravi, e in queste elezioni politiche abbiamo candidato diversi under 35. E non dimentichiamo il proficuo lavoro di stimolo dei Giovani democratici. Certo, possiamo migliorarci molto, ma da questo punto di vista il Pd è parecchio avanti. Lo dicono anche le intenzioni di voto, secondo cui siamo il partito che riscuote maggiore fiducia fra gli under 35.

Si parla spesso di sostegno all’imprenditoria giovanile salvo poi rilevare la difficoltà di superare la scarsa accessibilità dei cosiddetti contributi “a fondo perduto” per i giovani talenti privi di risorse proprie. Una realtà, come confermato dalle poche domande finanziate dalle amministrazioni locali, che di fatto tarpa le ali alla creatività e all’allargamento della base imprenditoriale giovanile. Quale intervento legislativo si sentirebbe di proporre per sostenere l’avviamento di impresa per i/le giovani sardi/e privi di garanti o capitali?

Rispetto all’imprenditorialità giovanile, come a quella femminile, secondo me vanno risolti tre problemi principali. In primo luogo occorre semplificare le procedure di accesso che spesso constano di troppe difficoltà. Poi è necessario che la scelta imprenditoriale sia conseguente a un percorso di orientamento e di formazione specifica oltre che di sostenibilità dell’intrapresa nel nostro contesto territoriale. Infine bisogna affrontare il punto dolente delle imprese giovanili e di quelle femminili, cioè la loro capacità di stare sul mercato. Occorre dunque non solo facilitare l’accesso al contributo pubblico, ma anche sostenere il giovane imprenditore nelle sue strategie di mercato e nelle relazioni con il credito. E quindi lo Stato dovrebbe investire ancora di più proprio sul sistema delle garanzie creditizie.

Romina Mura, foto rominamura.it
Romina Mura, foto rominamura.it

Lo sviluppo delle politiche giovanili di un Paese passa anche per l’innovazione e il dialogo con le organizzazioni giovanili del territorio. In Sardegna, come ricordato dall’ultima legge quadro sulle politiche giovanili, la n. 11 del 15 aprile 1999, si è creato di fatto un gap importante sia in termini di innovatività delle azioni che di confronto con le buone pratiche del settore. Quale intervento legislativo, fatte salve le prerogative regionali, si sentirebbe di proporre in Parlamento per sostenere l’innovazione e il dialogo nel settore?

Ritengo che non manchino le leggi, semmai è carente l’attuazione razionale e concordata delle varie disposizioni che facilitano la partecipazione giovanile ai processi decisionali. Non serve fare nuove leggi, ma piuttosto replicare tante buone prassi realizzate a livello locale ed europeo.

E questo si potrebbe fare attraverso una legge di spesa, magari la legge di bilancio dello Stato, trasferendo risorse ai Comuni e al Terzo settore affinché nell’ambito dei percorsi di sviluppo locale si costruiscano momenti e strumenti di coprogettazione con i giovani. Credo che sarebbe molto produttivo coinvolgere i giovani nell’aggiornamento degli strumenti urbanistici, nelle scelte relative alle politiche sociali e culturali, rispetto agli interventi di riutilizzo del patrimonio abitativo dei nostri centri storici.

Una piccola domanda per testare il suo grado di conoscenza sulle proposte di legge per i/le giovani sardi/e promosse nel corso dell’ultima legislatura regionale. Cosa è stato o non è stato fatto?

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Questa mi pare sia una delle legislature meno produttive della nostra storia di Regione autonoma, per i giovani e per i meno giovani. Mi pare che una delle misure più importanti sia quella dell’incremento delle borse di studio universitarie, che però nasce nella scorsa legislatura, con il presidente Pigliaru. E infatti la sua attuazione è stata pretesa dal gruppo consiliare del Partito democratico, anche a fronte del caos Ersu risolto solo di recente.
Altra misura che permane, anche se con investimenti inferiori rispetto al passato, è il Master and back che nacque con la Giunta Soru. So di essere di parte ma è innegabile che il tema della istruzione e della formazione costituisce priorità dei Governi di centrosinistra. Anche la legge che agevola le giovani coppie nel contrarre i mutui per la prima casa è un’ottima legge che viene da lontano e continua a produrre risultati positivi.

La mobilità internazionale dei giovani, come dimostrato dai programmi europei più fortunati (in primis l’Erasmus+), rappresenta una opportunità decisamente sostenibile per giovani e famiglie, essendo i costi totalmente a carico delle organizzazioni beneficiarie dei contributi UE. In Sardegna il grosso delle risorse per la mobilità internazionale ogni anno viene distribuito alle Università di Cagliari e Sassari, precludendo, di fatto, qualsiasi opportunità di mobilità per i giovani esclusi dal circuito universitario. Anche qui, fermo restando la competenza regionale, quale intervento di legge vorrebbe proporre per sostenere la mobilità internazionale dei giovani sardi/e, laddove risulti eletto/a in Parlamento?

Ci sono diverse misure europee che finanziano gli scambi culturali anche nei circuiti scolastici superiori. Penso per esempio al Programma Intercultura e ad altri che prevedono esperienze all’estero. Anche qui, forse più che altre leggi, servirebbero maggiori risorse da assegnare agli Istituti scolastici e ai Comuni. Si potrebbe intervenire prevedendo ulteriori borse di studio per i ragazzi e le ragazze appartenenti a nuclei famigliari con bassi redditi.
Ritengo che rispetto a questo segmento specifico andrebbe valorizzata l’autonomia dei singoli istituti scolastici. E anche qui sensibilizzati gli Istituti di credito e le Fondazioni bancarie a definire convenzioni con il Ministero dell’Istruzione per finanziarie queste specifiche esperienze formative. La Fondazione Sardegna già lo fa.

Nel settore della formazione regionale capita di assistere a interventi di scarso impatto per i/le giovani sardi/e nonostante i copiosi finanziamenti garantiti da Regione, Stato e Unione. Secondo lei sarebbe auspicabile un intervento di legge capace di introdurre un sistema di monitoraggio della spesa e dei risultati formativi maggiormente efficace?

La formazione e soprattutto la qualità della formazione dovrebbe essere ‘questione’ più nazionale che regionale. In Italia la formazione funziona un po’ come la sanità: ogni Regione ha il proprio modello. E così, ad esempio, se si nasce o si risiede in Emilia Romagna si ha un’alta qualità del sistema formativo come di quello sanitario, se invece ci spostiamo in una delle Regioni del Mezzogiorno e in Sardegna, la qualità della formazione non offre la stessa qualità. E per carità di patria tralasciamo il livello della sanità sarda.

Ecco il motivo per cui ritengo che, oltre a un più efficace sistema di monitoraggio della spesa, servirebbe rivedere il Titolo V della Costituzione: ristabilire un ruolo dello Stato di maggiore e più efficace controllo garantirebbe medesime opportunità e qualità dei servizi nella istruzione e formazione, in tutti i territori del Paese.

Partito Democratico
Partito Democratico

Sugli interventi a contrasto della devianza giovanile i partiti, recentemente, hanno proposto diverse soluzioni. Conoscendo il contesto sardo da quale elemento deve partire una proposta di legge applicabile e di impatto?

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La dispersione scolastica di per se è l’effetto di una o più fragilità giovanili. Al primo posto metterei la povertà materiale ed educativa dei nuclei famigliari di provenienza dei ragazzi e delle ragazze che abbandonano la scuola prematuramente o che, comunque, vivono in condizioni di marginalità ed esclusione sociale. I dati parlano chiaro: in Sardegna in particolare, la povertà materiale e la povertà educativa sono facce della stessa medaglia. E allora servirebbe un grande investimento in politiche sociali di prossimità. Devo ripetermi: anche qui ritengo che più che una nuova legge, servirebbero più risorse economiche e professionali nelle istituzioni più vicine ai bisogni e cioè i Comuni. La maggior parte dei Comuni sardi lavorano con un solo operatore sociale, tanti altri ne dispongono solo a tempo parziale. In queste condizioni non si possono occupare dei bisogni, non possono mettere in campo interventi mirati.
E allora a livello nazionale, e soprattutto europeo, bisogna modificare definitivamente il patto di stabilità e mettere gli Enti locali nelle condizioni di fare concorsi. In questi anni la situazione è molto migliorata, ma non basta ancora, e serve assumere figure professionali giovani e competenti.

Per 3 elettori over55 vi è un votante under35. Nonostante questi numeri nell’agenda politica degli ultimi Governi l’attenzione verso i giovani è stata incontrovertibilmente assente. Perché un/una giovane dovrebbe andare a votare e, nella fattispecie, esprimere la propria preferenza per lei?

Da questa legislatura si potrà votare sia alla Camera sia al Senato a partire da 18 anni: questo ritengo sia un segnale di attenzione alla nostra popolazione più giovane. Il Partito democratico è ha a cuore i giovani e lo dimostrano le cose che abbiamo fatto nel corso della legislatura e quelle previste nel nostro programma elettorale. Una nostra proposta è la legge sulla parità retributiva, sappiamo quanto le giovani donne fatichino, nonostante competenze e alti livelli formativi, ad affermarsi nel mondo del lavoro, a farsi riconoscere pari retribuzione e pari diritti. Nella mia commissione stavamo lavorando alla riforma dell’apprendistato e dei tirocini curriculari che ora inseriamo nel nostro programma, così come l’abolizione dei tirocini extracurricolari, l’introduzione del salario minimo e l’equo compenso in tutti i rapporti dove il committente non sia persona fisica. E poi anticipazione nel sistema italiano della proposta Ue sui lavoratori delle piattaforme online, riduzione dell’orario di lavoro a parità di retribuzione. Parlo ovviamente di questioni di cui mi sono occupata più da vicino. La pandemia ha rovesciato la gerarchia dei valori, in particolare dei più giovani, e la regolazione del mercato del lavoro deve tenerne conto.
Un tema per cui i ragazzi e le ragazze credo ci sentano vicini sono i diritti civili: loro più di tutti hanno riempito le piazze con le loro storie e i colori dell’arcobaleno. Questo Paese non sarà completamente civile fino a quando non saranno riconosciuti i diritti di tutte le minoranze, dalle ragazze e ragazzi nati in Italia figli di stranieri che ancora non hanno la cittadinanza, alla Comunità Lgbtq+ ancora oggetto di discriminazioni e crimini d’odio insopportabili.

Parlamento, foto licenza CC-BY-NC-SA 3.0 IT
Parlamento, foto licenza CC-BY-NC-SA 3.0 IT

Mancano 24 giorni all’election day e il sentiment attuale dice che un giovane su 4 nell’Isola non andrà a votare. In questa occasione cosa si sente di dire al 75% dei potenziali astenuti under35 in Sardegna per esortarli a recarsi alle urne?

Che si può evitare di occuparsi delle questioni che riguardano la vita associata, l’economia, i diritti, in sostanza della politica, ma allora bisogna sapere che qualcuno lo farà al posto tuo. Che il voto che non esprimi è una delega in bianco consegnata a chi vota. Certo, nella nostra democrazia siamo liberi di scegliere se partecipare o no, se votare o no. E’ un privilegio anche questo. Ma pensiamoci bene prima di scrollare le spalle.