Covid e inerzia della politica. L’effetto domino sui pubblici esercizi nell’Isola.

La Fipe Confcommercio Sud Sardegna lancia l’allarme sull’inarrestabile disastro economico che sta interessando i pubblici esercizi del territorio. Una realtà acuita negli ultimi anni dall’improbabile gestione dell’emergenza pandemica, nonché dalla fuga, per non dire inerzia, della classe dirigente regionale, come dimostrato – per citare alcune milestones degli ultimi tempi – dall’insussistenza dei ristori erogati (celebrati però da improbabili assessori regionali) e dalle debaclè informatiche che hanno accompagnato le iniziative estemporanee a sostegno di autonomi e imprese nell’Isola.

Uno scenario desolante dove si rileva un calo degli incassi del 70% tra i pubblici esercizi del territorio, sul quale ci si interroga poco all’interno del Palazzo del Consiglio regionale, sempre più interessato a fondare la propria azione legislativa su interventi frammentari e di piccolo cabotaggio, alimentando, anche in un periodo d’emergenza, una sterile contrapposizione tra maggioranza e opposizione, indubbiamente priva di contenuti. Sullo stesso tenore la politica nazionale che, nella concitazione collegata all’elezione del 13° Presidente della Repubblica, sembra aver dimenticato i problemi del Paese… chi potrà più sorprendersi delle attuali (e future) percentuali di astensionismo?

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Argomentazioni di maggiore praticità, invece, arrivano dal mondo dei pubblici esercenti locali: vera e propria bandiera di resilienza e di protezione sociale, specialmente per giovani e donne: “In questa fase ci sentiamo dimenticati”, spiega il presidente Emanuele Frongia, “la situazione, come confermano i dati, è catastrofica. Lo Stato non può rimanere a guardare. Stiamo vivendo una situazione simile a quella del primo lockdown, quando eravamo spaventati e non sapevamo cosa fare”.

“Siamo disperati – prosegue il presidente Frongia – i nostri incassi si sono più che dimezzati toccando un meno 70 per cento, c’è chi ormai apre solo nel weekend e chi ancora registra pochi euro di fatturato in tutta un’intera giornata di lavoro. Il 90 per cento di noi si è indebitato e l’80% è rappresentato da piccole, piccolissime imprese che spesso sono a conduzione familiare. Le nostre aziende – precisa – si trovano a pagare affitti senza che ci sia la forza produttiva di sostenere queste spese, continuiamo a sostenere i nostri collaboratori ma non ci viene concessa la possibilità di usufruire della cassa integrazione”.

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Una spirale devastante alimentata dai recenti aumenti del costo dell’energia: “Parliamo di un rincaro rispettivamente del 10% – per le materie prime – e del 60 per cento – per le utenze -. Oggi ci rivolgiamo allo Stato, non solo alla Regione. Il Governo deve adottare azioni forti per sostenere il nostro lavoro. In Germania, ad esempio, è stata ridotta l’iva. Si potrebbe anche eliminare completamente il costo del lavoro. Le ipotesi sono tante. Ma così non possiamo andare avanti, di questo passo il nostro futuro è il reddito di cittadinanza”.