Turismo italiano in crisi di manodopera.
Mancano camerieri, receptionist, cuochi. Non sono carenti solo i livelli dei dipendenti stagionali, ma anche figure professionali qualificate. E la narrazione dominante – quella che scarica tutta la colpa sui giovani “sfaticati” e “ossessionati dal tempo libero” – vacilla sempre di più sotto il peso delle evidenze. Il sistema turistico italiano, ma sarebbe meglio parlare di sistema Paese è sempre meno competitivo.
Un comparto ricettivo, colpevole di aver ignorato per anni le condizioni di lavoro reali: contratti inadeguati, compensi al ribasso, orari infiniti e zero riconoscimenti. Eppure, mentre gli addetti fuggono dal settore, il refrain resta lo stesso: “I giovani non hanno più voglia di fare niente”. Una comoda scusa per non ammettere che è l’intero sistema Paese a dover cambiare.
E non è un problema solo morale o sociale: è una questione di sopravvivenza. Come si potranno sostenere le imprese turistiche senza giovani nelle strutture? Come si potrà convincere le nuove generazioni che il settore dell’ospitalità rappresenta una scelta dignitosa e stimolante?
Il tema, al momento, sembrerebbe non essere compreso in Italia, dove, in assenza di investimenti strategici, incapacità di destagionalizzare (anche se la classe dirigente – quella sarda è “top di gamma” – spara puttanate ad ogni conferenza stampa), lancio improbabile di nuovi trend (lo slow tourism guida la classifica con i tanti cammini religiosi che proliferano in Italia) non si riesce a riportare il turismo italiano ai vecchi fasti.
Ma, complice anche una scarsa programmazione turistica, sembra che in Italia ci si possa permettere di ignorare il cambiamento.