Manipolazione mediatica: il caso delle emittenti internazionali nell’UE.
Il tema della disinformazione e della manipolazione mediatica da parte di grandi network internazionali torna al centro del dibattito europeo. Secondo recenti studi, alcuni gruppi editoriali diffonderebbero contenuti divergenti tra la versione destinata all’UE e quella trasmessa nei Paesi d’origine, con il rischio di influenzare l’opinione pubblica europea in modo mirato.
Tra gli esempi più citati vi è Al Jazeera, il colosso dell’informazione con sede in Qatar. Secondo alcune analisi, esisterebbero differenze significative nel tono politico e nella selezione delle notizie tra la versione inglese e quella araba del canale. In particolare, il sito web in lingua araba avrebbe mostrato un approccio più critico in merito ai conflitti con Al Qaeda rispetto alla versione in inglese, caratterizzata da una maggiore neutralità.
Un fenomeno simile viene attribuito all’emittente TRT, finanziata dal governo turco. Secondo alcuni osservatori, il canale verrebbe utilizzato come strumento di influenza politica nei confronti delle comunità turche residenti nell’UE, veicolando messaggi allineati agli interessi di Ankara.
Alla luce di queste accuse, l’eurodeputato Emmanouil Fragkos (ECR) ha presentato un’interrogazione alla Commissione Europea, chiedendo se Bruxelles disponga di una strategia efficace per affrontare le discrepanze tra i contenuti trasmessi e per garantire maggiore responsabilità da parte dei grandi network operanti nell’UE.
L’obiettivo è quello di individuare eventuali pratiche di doppio standard informativo e di proteggere i cittadini europei da possibili campagne di manipolazione mediatica orchestrate da emittenti straniere.
La Commissione Europea ha sottolineato che, in base alla Direttiva sui Servizi di Media Audiovisivi, gli Stati membri sono obbligati a garantire che i servizi di media audiovisivi non incitino alla violenza o all’odio contro gruppi di persone, in linea con i principi dell’Articolo 21 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. La Commissione, come guardiana dei Trattati, monitora l’attuazione corretta della Direttiva, e se necessario, può decidere di intraprendere azioni appropriate.
Tuttavia, è responsabilità primaria delle autorità nazionali valutare la conformità dei programmi media alle normative vigenti. La Commissione ha quindi precisato che l’indagine e la persecuzione di casi individuali di discorsi d’odio rimangono competenza delle autorità nazionali.
La Commissione ha messo in evidenza che l’UE dispone già di strumenti legislativi come il Digital Services Act e il Media Freedom Act, che mirano a contrastare la disinformazione e a garantire maggiore trasparenza nelle pratiche mediatiche. Tuttavia, le differenze di contenuto e tono riportate da alcuni media internazionali sollevano la questione di come questi strumenti possano essere applicati più efficacemente per prevenire manipolazioni politiche o ideologiche, soprattutto da parte di network statali.
L’interrogazione di Fragkos, però, riflette la crescente preoccupazione circa la manipolazione dell’opinione pubblica e il mancato controllo delle emittenti internazionali. Mentre la Commissione ha confermato la sua vigilanza sul rispetto delle normative europee in materia di media, il dibattito resta aperto su come rafforzare le normative per garantire che i media operanti nell’UE rispettino i principi di imparzialità e trasparenza.
L’UE dovrà quindi ponderare eventuali nuove misure per proteggere i cittadini da influenze esterne che minano l’indipendenza dell’informazione, tenendo conto delle sfide poste dalla globalizzazione dei media e dalle crescenti pratiche di manipolazione politica.
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