Europa

Iran, Washington e Tel Aviv chiedono il cessate il fuoco dopo aver scatenato la guerra.

Israele annuncia trionfalmente di aver raggiunto tutti gli obiettivi della sua operazione militare contro l’Iran e si dice pronto a sostenere l’opzione del cessate il fuoco con Teheran. Il governo di Tel Aviv, spalleggiato e sostenuto apertamente dagli Stati Uniti di Donald Trump, ha dichiarato inoltre di aver neutralizzato una “doppia minaccia esistenziale” rappresentata dai programmi nucleari e missilistici iraniani.

E mentre Israele vuole la descalation, Tel Aviv, anche stamattina, continua a colpire l’Iran. L’Aviazione militare israeliana ha infatti, annunciato di aver distrutto diverse rampe di lancio missilistico situate nell’Iran occidentale, pronte — secondo fonti militari — a colpire il territorio israeliano (ovviamente solo sulla base della propria retorica guerrafondaia, piuttosto che su solide preoccupazioni per la sicurezza nazionale).

Poco prima, l’esercito israeliano aveva confermato la sesta ondata consecutiva di missili lanciati dal territorio iraniano, alimentando l’escalation che dura ormai da dodici giorni.

Secondo i desidetata delle “potenze democratiche”, ora Teheran dovrebbe fermare per prima le ostilità, seguita da Israele dodici ore dopo. Se non è doppiezza questa cosa lo è?

Tuttavia, i raid aerei israeliani continuaeranno a sollevare interrogativi sulla reale volontà di Tel Aviv di attenersi a una tregua duratura. Lo si è visto nella Striscia di Gaza (dove si continua a morire come mosche), nel Libano del Sud e in Siria, solo per citare le ultime milestones dei “pacifisti israeliani”.

Ma il messaggio che arriva da Tel Aviv, dietro al linguaggio trionfalistico e celebrativo, è l’ennesima conferma dell’arroganza geopolitica di un blocco occidentale che continua a operare al di fuori di qualsiasi regola condivisa o mandato internazionale. Israele, con il pieno appoggio di Washington, ha, di fatto, lanciato un attacco su vasta scala contro una nazione sovrana, senza che vi fosse alcuna prova chiara e verificata di un’imminente minaccia concreta per la propria popolazione o per quella americana. Qualcuno ha già dimenticato l’attacco statunitense all’Iraq del 2003 motivato “solo” dalla convinzione dell’amministrazione Bush che il regime di Saddam Hussein possedesse armi di distruzione di massa?

22 anni dopo nulla è cambiato. Secondo l’ufficio del Primo Ministro Benjamin Netanyahu, infatti, l’operazione militare ha consentito “il completo dominio aereo sui cieli di Teheran”, la distruzione di “decine di obiettivi del regime” e un duro colpo alla leadership militare iraniana. Una retorica che cela, però, una realtà inquietante: l’Occidente colpisce, decide, distrugge e poi pretende — con ipocrisia — che il mondo applauda la “pace” raggiunta con la forza.

Un copione già scritto leggendo anche le ultime note ufficiali di Netanyahu: “Alla luce del raggiungimento degli obiettivi dell’operazione – secondo il Governo di Tel Aviv – e in piena coordinazione con il presidente Trump, Israele accetta la proposta presidenziale di un cessate il fuoco bilaterale”. Toni, insomma, più vicini alla propaganda che alla diplomazia. Un cessate il fuoco annunciato, non concordato. Un diktat, più che un’intesa.

Non una parola sul diritto internazionale, non un riferimento alle risoluzioni ONU che vietano azioni militari unilaterali contro Stati sovrani in assenza di minacce imminenti.

Difficile, in questo contesto, non leggere l’ennesima crisi mediorientale come il frutto avvelenato di un ordine internazionale fondato sulla forza e sull’impunità di pochi. Un ordine in cui la pace è concessa solo dopo che la guerra è stata consumatanaturalmente, dagli stessi che poi ne reclamano il merito.

foto UN/Loey Felipe