Economia italiana: le revisioni Istat alzano la dinamica del Pil del triennio 2020-2023.

Aumentano le famiglie in gravi difficoltà economiche e diminuiscono i consumi. Basterebbero questi due elementi per spiegare il progressivo deterioramento del contesto economico italiano, sempre meno competitivo e “outdated” rispetto ai Paesi Ue.

Segnali che confermano un ulteriore rallentamento del “Bel Paese” (per chi poi non si sà?), dove aumenta il deficit, rispetto a quanto previsto nel DEF, anche a causa di un PIL più basso di quello atteso. Anche organizzazioni come ConfindustriaBanca d’Italia e lo stesso Governo stanno prendendo atto del mutamento di contesto rivedendo al ribasso le proprie stime di crescita, ad oggi molto ottimistiche.

Ma, difficile immaginarlo ora, una mano potrebbe arrivare dalla revisione delle risorse destinate a coprire l’aumento del deficit, annunciate dall’ISTAT per il triennio 2020-2022.

“Per l’Italia- spiega Roberto Race di competere.eu – questa revisione cambierà la narrativa sull’uscita dal Covid: il recupero dei livelli pre-Covid sarebbe stato raggiunto, infatti, già nel 2021 e attualmente, secondo alcune nostre valutazioni preliminari, il livello di PIL potrebbe essere di oltre 4 punti più alto rispetto a quello di fine 2019, confermando il primato europeo dell’Italia nella velocità di recupero.  Venerdì prossimo è stata convocata una conferenza stampa nel corso della quale verranno presentati gli aggiornamenti delle stime di crescita del PIL nominale (e in volume) dovuta al recepimento di nuove fonti statistiche strutturali e “in particolare del sistema informativo integrato per la stima delle variabili dei Conti economici delle imprese”. Queste revisioni – prosegue – saranno particolarmente rilevanti per il 2021, anno per il quale è stato già comunicato un incremento del PIL nominale “compreso tra 1,8% e 2,1% rispetto alle stime diffuse il 1° marzo 2023”. 

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Non si hanno altri dettagli, ma di certo già questo contribuisce a ridurre la quota di debito e di deficit sul PIL, quantomeno nel 2021, consentendo probabilmente la costituzione di un “tesoretto” inatteso da potere portare nella prossima manovra finanziaria. Risorse che potrebbero andare a coprire parte delle richieste delle principali associazioni di categoria.

Tra i fattori determinati, ricorda Race, la crisi del settore immobiliare cinese e delle tensioni geopolitiche che accentuano un rallentamento globale in corso anche per gli aumenti dei tassi (sia FED che BCE hanno alzato di un quarto di punto i tassi di riferimento) i cui effetti sulla domanda sono già evidenti, soprattutto in Europa. Inoltre, nel Vecchio Continente la Germania si sta rivelando il “malato d’Europa”, per effetto dei forti legami con la Cina, in particolare sul settore automotive che sta risentendo più di altri della svolta green. L’Italia non è esente da questo contagio poiché è il principale fornitore dell’economia tedesca per componenti di auto”. 

Anche per questa ragione la produzione industriale italiana mostra, ormai da mesi, segnali di forte debolezza. In luglio è tornata a diminuire (-0,7%) dopo due mesi di recuperi. “A livello settoriale – ha aggiunto Race – ha dato un contributo positivo solo il comparto energetico, che ha prodotto più del solito per l’accresciuta domanda di energia dovuta alle temperature elevate registrate nel mese. Se si osserva la dinamica nel solo manifatturiero, la diminuzione è più marcata (-1,1% su giugno), con i settori alimentare e mezzi di trasporto che mostrano i cali di attività più forti. A luglio è venuto meno l’apporto di entrambe le componenti della domanda: quella estera è diminuita dell’1,8% mentre la caduta delle importazioni nello stesso mese (-4,7%), insieme alla diminuzione delle vendite al dettaglio (-0,2% in volume), è sintomo di una ulteriore perdita di slancio anche della domanda interna, già fortemente compromessa dal contestuale impatto di tassi elevati e inflazione in lento rallentamento, fattori che hanno ridotto il potere d’acquisto delle famiglie e limitato le prospettive di consumo”.

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A complicare il quadro anche la ripresa dei prezzi. In agosto, infatti, l’inflazione in Italia ha toccato il 5,4% su base annua, un dato di oltre sei punti inferiore rispetto al picco di fine 2022. 

La discesa dei prezzi è stata frenata, nelle ultime settimane, dai rincari del petrolio e del gas, i primi prevalentemente a causa del blocco della produzione decisa da Arabia e Russia e i secondi soprattutto a causa degli scioperi nel settore del GNL in Australia e per lavori di manutenzione del gasdotto in Norvegia. In tale contesto, dinamiche salariali che procedono a un ritmo più lento di quello dell’inflazione stanno generando impatti significativi sui bilanci delle famiglie. Una gran parte dei CCNL (circa il 50%) deve essere ancora rinnovato per cui, sotto questo punto di vista, se oggi gli effetti sono negativi, nel 2024 si può attendere un miglioramento delle condizioni: a fronte di una decelerazione ulteriore della dinamica dei prezzi che, secondo molti previsori, dovrebbe scendere sotto il 3% nella media dell’anno prossimo (quasi dimezzandosi rispetto al 2023) si avranno incrementi significativi delle retribuzioni (i cui contratti verranno rinnovati a tassi superiori) e ciò aumenterà il potere d’acquisto delle famiglie, liberando risorse per i consumi

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“La combinazione di questi fattori – conclude Race – rappresenta un pesante fardello sull’andamento del PIL quest’anno e il prossimo. Il Governo non può non tenerne conto nella prossima manovra finanziaria, la quale dovrà inoltre considerare anche i circa 30 miliardi di Superbonus che andranno a incrementare di circa 1,5 punti la dinamica del deficit, portandola al 6% (o sopra), rispetto a quanto considerato nel DEF in aprile (4,5%). Per il 2024 i dubbi sull’attribuzione delle risorse del Superbonus lasciano spazio a una grande incertezza. Nel DEF era previsto un deficit del 3,7% ma con una dinamica del PIL più robusta (+1,5% previsto) di quella che sarà: (potrebbe essere addirittura la metà di quella prevista ad aprile). I problemi, dunque, non mancano e una gran parte delle soluzioni si trova sui tavoli di lavoro organizzati a livello europeo, in particolare quelli che prevedono modifiche al Patto di Stabilità. Su questo fronte le ultime notizie non sono rassicuranti, a causa del riemergere di “falchi” che intendono limitare qualsiasi revisione rispetto alle regole già stabilite e fino al 31 dicembre sospese”.

foto di Lorenzo Cafaro da Pixabay.com