Devianze giovanili: impiegare gli youth workers per superare schemi fallimentari.

Potrà l’Italia andare oltre l’attuale deprimente paradigma per le politiche giovaniil e porre fine alla reiterazione di schemi fallimentari e desueti? Una domanda alla quale non si potrà dare una facile risposta nel breve periodo, sia per la conferma di iniziative calate dall’alto (come la gestione delle risorse del fondo nazionale per le politiche giovanili) che per l’azione autoreferenziale dei principali enti competenti in materia di politiche giovanili, fervidi sostenitori delle azioni spot e dal facile happy ending.

Un sistema asfittico che potrebbe tornare a respirare con l’ausilio degli operatori giovanili, noti come youth workers. Figure, come confermato da una importante massa critica europea (poco compresa in Italia), capaci di portare soluzioni in termini di inclusione dei giovani ben oltre la settorialità delle politiche sociali e di quella fastidiosa narrazione istituzionale che considera i giovani come “dei poveri imbecilli” vittime del disagio, senza, nel contempo, mettere apposite risorse a disposizione dello sviluppo delle politiche giovanili e sostenere un processo di coprogrammazione con i giovani e le organizzazioni giovanili del terzo settore.

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Proprio di Youth workers, recentemente si è tornato a parlare a Bolzano nel corso di una conferenza stampa di presentazione della qualificazione professionale di “Youth worker”, finalmente sdoganato come figura capace di supportare lo sviluppo personale dei giovani, favorirne la coesione sociale, l’inclusione, l’occupazione e l’educazione. Insomma, figure diverse da quelle che si possono incontrare negli uffici pubblici dei vari assessorati alle politiche sociali o di “entità” affidatarie di servizi per la gioventù.

Figura, quello dello youth worker, che grazie alla delibera della Giunta provinciale n. 934/2023 di Bolzano, potrà essere riconosciuta attraverso un Repertorio provinciale.

Qualcosa, forse, si muove in questo Paese sempre più vecchio.

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