Mont’e Prama: Il mistero della necropoli nuragica dei giganti.

Custodi ancestrali di un’area sacra, simboli delle funzioni sociali dei defunti inumati o memoria di un importante evento della storia nuragica locale? Distrutti nel corso di una guerra intestina fra comunità nuragiche, demoliti dai fenici o abbattuti dai cartaginesi? Sono molti i misteri che circondano la necropoli nuragica e i Giganti di Mont’e Prama, reperti che non trovano paragoni nella statuaria della Sardegna nuragica e sembrano il prodotto di un estremo ingigantimento dei bronzetti votivi, attuato in un contesto culturale attraversato da faglie profonde in un momento di trapasso epocale vivamente percepito e sofferto.

Gli studi più recenti datano le tombe e le sculture tra la fine del IX e la prima metà dell’VIII secolo a.C., in piena età del ferro, opera di una società radicalmente mutata rispetto a quella dell’età del bronzo. La necropoli di Mont’e Prama conosce tre fasi di utilizzo: una prima costituita da tombe singole a pozzetto in cui era deposto un corpo inumato; una seconda in cui vengono realizzate nuove tombe singole o raggruppate coperte da lastroni di pietra in modo disorganico; una terza in cui le tombe, con lastra quadrata di copertura, sono perfettamente allineate.

Al di sopra di queste tombe così ben organizzate e nella fascia libera antistante, che costituisce una sorta di strada funeraria, sono state rinvenute le statue in stato frammentario, frantumate già in epoca antica e depositate volontariamente sopra e accanto alle tombe. Allo stato attuale non è possibile determinare la collocazione originaria delle statue, i cui frammenti sono stati ritrovati in condizioni caotiche. Sulla loro antica collocazione vi sono più ipotesi: alcuni ritengono che le statue fossero poste in un’area lontana dalle tombe a delimitare un’area sacra; altri pensano che fossero collocate nell’area della necropoli; infine vi è chi pensa che fossero poste al di sopra dei lastroni di copertura delle tombe.

LEGGI ANCHE:  Covid: Musei Civici di nuovo chiusi da lunedì 22 marzo.

Riguardo la loro distruzione, sono state fatte tre grandi ipotesi: la prima vuole la distruzione del complesso come un episodio di lotta interna fra comunità locali di cultura nuragica; la seconda ritiene che la distruzione sia avvenuta per mano dei fenici di Tharros sul finire del VII secolo a.C.; la terza propone che la distruzione risalga alla seconda metà del IV secolo a.C. per opera dei cartaginesi presenti sull’isola.

Per quanto concerne le sculture, secondo un’interpretazione rappresentavano il ceto sociale più in vista, identificando negli arcieri i valori militari, nei pugilatori la sfera religiosa e nei modelli dei nuraghi quella politica. Un’altra interpretazione, invece, riconosce nelle statue, più che i defunti stessi, la raffigurazione dei loro antenati, evocati come eroi mitici delle leggende nuragiche, e nei modelli dei nuraghi il simbolo dell’identità e della compattezza della comunità. Secondo un’ultima interpretazione, infine, le statue potrebbero celebrare la memoria di un evento importante della storia nuragica locale. Il complesso funerario e scultoreo viene spesso definito come heeron, ossia un luogo organizzato e strutturato per il culto degli antenati elevati al rango di eroi. Le sculture di Mont’e Prama esprimevano quindi identità e appartenenza, valori particolarmente significativi in un momento di transizione caratterizzato da profonde tensioni e trasformazioni. Avrebbero quindi una forte valenza simbolica, rivolta sia alle comunità locali che a quelle provenienti dal Mediterraneo orientale che in quegli anni si affacciavano sulle coste della Sardegna occidentale.

“Siamo particolarmente soddisfatti dei primi esiti dell’intervento di scavo archeologico che, per l’unicità del sito in Sardegna e nel Mediterraneo, ha richiesto un intenso lavoro di preparazione scientifica e tecnica”, ha dichiarato Monica Stochino, Soprintendente Archeologia, belle arti e paesaggio per la Città Metropolitana di Cagliari e le province di Oristano e Sud Sardegna commentando oggi il ritrovamento di torsi e altri frammenti di due statue, identificate come “pugilatori”, del tutto simili e riconducibili alle due sculture note come i Giganti di Mont’e Prama, rinvenute nel Sinis nel 2014 ed oggi conosciute in tutto il mondo ed esposte nel Museo civico di Cabras.

LEGGI ANCHE:  Mont’e Prama: i giganti protagonisti nel fumetto di Aleksandar Zograf.

“La  ricerca è stata indirizzata su due principali obiettivi – ha spiegato la sovrintendente Stochino – da un lato indagare alcuni gruppi di sepolture della fase più antica, nuragiche, e successive punico-romane, per reperire le informazioni scientifiche indispensabili ad una ricostruzione del mondo in cui si svilupparono i fenomeni culturali che portarono alla creazione del sito; dall’altro estendere gli scavi a sud delle aree già indagate, nell’intento di confermare l’estensione della sistemazione monumentale dell’area con la definizione della strada funeraria e la creazione del complesso scultoreo formato da statue, modelli di nuraghe e betili”.

“L’emozione e l’entusiasmo di tutti noi è grande anche per la conferma che il metodo proposto di esplorazione progressiva per sondaggi preliminari e indagine sistematica, affiancata da conseguenti interventi di restauro e coordinati progetti allestitivi, è certamente vincente ed in grado di rendere fruibile in tempi ragionevoli un patrimonio unico che la Fondazione Mont’e Prama saprà valorizzare per le finalità culturali e per  promozione di un territorio di eccellenza anche sotto il profilo ambientale”.

“Si è trattato di un lavoro di squadra – ha sottolineato la sovrintendente –  che ha visto coinvolta una équipe multidisciplinare di esperti, tutti funzionari del Ministero della cultura: gli archeologi Alessandro Usai e Maura Vargiu, l’antropologa Francesca Candilio, Georgia Toreno, restauratrice, ed Elena Romoli, architetto e direttore dei lavori” ha concluso.

“La ricerca programmatica dà i suoi frutti: è arrivata la conferma che il metodo funziona perché si tratta di sculture rinvenute alla luce in un tratto non ancora toccato”, ricorda Alessandro Usai, direttore scientifico dello scavo nel Sinis dal 2014. “Siamo andati a colpo sicuro su un’area riprendendo vecchi scavi e ampliandoli in continuità con quella che noi conosciamo come necropoli nuragica che si sviluppa lungo una strada precisa nel tratto che stiamo indagando”. “In particolare – spiega Usai –  i due torsi rinvenuti con lo scudo allungato che assume una forma un po’ avvolgente rispetto al braccio sinistro e che si appiattisce sulla pancia riconducono i ritrovamenti alla categoria dei pugilatori –e aggiunge – si tratta di sculture calcaree la cui pietra proveniva da una cava non molto distante da qui, facile da scolpire ma proprio per questo anche molto fragile”.

LEGGI ANCHE:  “Non è lei” il poliziesco di Maria Francesca Chiappe a Florinas in Giallo.

“La presenza capillare nel Sinis della civiltà nuragica nell’età del bronzo e del ferro è il presupposto stesso della ricerca che si fonda su una indagine sul Sinis – sottolinea Usai –  nell’ambito di questo quadro questa necropoli è unica in Sardegna. Lo scavo qui è una ricerca integrata non solo delle statue ma di tutto ciò che comprende anche scavi di tombe, grazie ai quali viene fuori anche l’aspetto antropologico: ovvero la necessità di definire cronologia, natura e ruolo di queste statue”.

“L’emozione più grande? Senza dubbio vedere qualcosa prendere forma davanti ai tuoi occhi che viene fuori dalla terra. Cose che sapevi essere sepolte lì, ma soprattutto vederle e interrogarle, dalla pietra informe fino a scoprirne lo stato. Ma non solo, anche l’emozione di poterne discuterne con i colleghi in cantiere, nell’attesa di vedere tutto quello che viene fuori. Uno scavo viene vissuto tutti i giorni appassionatamente, anche se annunciato”.

foto Ministero Cultura