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Giovani: dopo decenni di politiche assenti, il disagio è ormai strutturale.

Nelle scuole superiori italiane si respira un clima sempre più teso. Ansia, isolamento, insonnia e difficoltà relazionali non sono più fenomeni marginali ma elementi ormai radicati nella quotidianità degli adolescenti. A certificarlo, una situazione che molti dirigenti scolastici e docenti definiscono allarmante: gli sportelli d’ascolto, dove presenti, sono sommersi di richieste, mentre cresce il ricorso agli psicofarmaci, spesso come unica risposta accessibile a un malessere diffuso.

I numeri e le testimonianze raccolte, anche negli istituti del Nord Sardegna, raccontano una realtà in cui la fragilità psicologica dei ragazzi è diventata una costante. Il disagio non riguarda solo la pressione scolastica o l’ansia da prestazione, ma abbraccia un senso più ampio di inadeguatezza sociale e personale, alimentato anche da un ecosistema digitale che impone modelli irraggiungibili e relazioni filtrate.

La pandemia, secondo gli esperti, ha lasciato una frattura profonda, e il tanto invocato ritorno alla normalità ha nascosto sotto la superficie una generazione che fatica a riconnettersi con il presente. Molti studenti faticano a frequentare in presenza, in alcuni casi si opta per l’istruzione domiciliare. Crescono anche i fenomeni di isolamento estremo, come gli hikikomori, adolescenti che si ritirano completamente dalla vita sociale. Se poi si aggiungono legislature regionali che hanno fatto poco e nulla per i giovani sardi, il risultato non poteva che essere diverso.

Il web, ancora, se da un lato rappresenta una valvola di sfogo, un luogo dove i ragazzi cercano ascolto e identità, dall’altro amplifica l’ansia e consolida insicurezze, creando un costante confronto con l’ideale. L’influenza dei social sul benessere mentale è ormai un dato di fatto, e gli effetti si riflettono anche nei contesti scolastici, dove le richieste di aiuto sono in continuo aumento. Ma, anche su questo frangente, non si vede in Italia alcuna istituzione pronta a mettere mano alla borsa per finanziare nuovi strumenti per la promozione del pensiero critico tra i giovani.

Il disagio si manifesta in molte forme: attacchi di panico, sintomi psicosomatici, ritiro sociale, autolesionismo. In alcuni casi, l’assunzione di farmaci diventa un rifugio, un modo per arginare un dolore che resta spesso inascoltato, mentre le famiglie, pur presenti fisicamente, risultano talvolta fragili e incapaci di offrire un reale supporto emotivo.

La scuola cerca di rispondere con gli strumenti disponibili: sportelli psicologici finanziati da fondi temporanei, progetti mirati, attività di prevenzione. Ma l’impressione diffusa tra gli operatori è che non basti più. Il disagio psicologico tra gli adolescenti non è un episodio passeggero ma un fenomeno strutturale che richiede interventi sistemici, continui e integrati.

In un contesto in cui gli studenti mostrano una crescente consapevolezza sull’importanza della salute mentale e non esitano a chiedere aiuto, è la rete di sostegno attorno a loro che appare ancora troppo fragile. La figura dello psicologo scolastico, ad esempio, è spesso precaria e limitata da vincoli burocratici o culturali. E mentre il pregiudizio nei confronti del supporto psicologico diminuisce tra i ragazzi, resiste ancora tra molti adulti.

Il disagio giovanile non è più un’eccezione. È diventato un tema centrale per la scuola italiana, che oggi si trova a essere anche luogo di cura, ascolto e contenimento.