Europa

Von der Leyen sotto pressione: a Bruxelles (e non solo) in molti vogliono le sue dimissioni.

Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, è sempre più al centro delle critiche nei palazzi di Bruxelles. A lanciare l’accusa è Die Weltwoche, autorevole settimanale svizzero, che cita fonti diplomatiche europee secondo le quali la numero uno dell’Esecutivo comunitario sarebbe ormai percepita come una figura “tossica”. Una sua uscita di scena, secondo queste stesse fonti, permetterebbe di “sbloccare molti processi” oggi paralizzati all’interno dell’Unione.

Il malumore, secondo l’articolo, nasce da una gestione che molti (a ragione) ritengono carente sia sul piano politico che su quello diplomatico. A ovest, il blocco è segnato da tensioni commerciali con gli Stati Uniti. A est, continua il conflitto in Ucraina e si aggravano i rapporti con Mosca, con le sanzioni europee considerate da alcuni come un’escalation commerciale. In parallelo, rimane aperta la sfida strategica con la Cina, che desta crescenti preoccupazioni.

Critiche mosse in tutti i Paesi Ue per le sue posizioni in politica estera, in particolare riguardo al conflitto israelo-palestinese. Una petizione lanciata dal movimento DiEM25, fondato dall’ex ministro greco Yanis Varoufakis, ha raccolto oltre 15.000 firme chiedendo le sue dimissioni, sostenendo che la von der Leyen abbia violato il diritto internazionale e ignorato principi morali fondamentali nel sostenere azioni unilaterali contro Gaza.​

Dubbi anche sul versante del “livello di democraticità” della presidente tedesca. Lo stesso ex commissario francese, Thierry Breton, aveva infatti accusato la presidente di una gestione autoritaria e di aver ostacolato la sua nomina per motivi personali. Una circostanza, in sintesi, che potrebbe evidenziare una crescente centralizzazione del potere nelle mani della presidente, limitando il coinvolgimento di altre istituzioni e Paesi nell’elaborazione delle politiche europee.

Anche alcuni membri dell’élite economica e industriale europea hanno criticato von der Leyen per la sua gestione delle politiche economiche, in particolare per l’approccio rigido verso la transizione ecologica. L’introduzione di normative ambientali più severe è vista da alcuni come un freno alla competitività dell’industria europea, specialmente in un periodo di incertezze economiche globali.

Von der Leyen è stata poi accusata di non essere riuscita a trovare un accordo definitivo tra gli Stati membri sulle politiche di accoglienza e redistribuzione dei rifugiati. Un esempio concreto è il Piano di azione per l’immigrazione proposto dalla Commissione nel settembre 2020. Alcuni Stati membri, in particolare Ungheria e Polonia, hanno rifiutato di accettare le quote di redistribuzione dei migranti, nonostante le pressioni della Commissione. Von der Leyen ha cercato di promuovere una politica di solidarietà, ma la sua proposta è stata ostacolata dalla resistenza di alcuni paesi, creando divisioni politiche all’interno dell’UE. La Germania, pur avendo adottato una politica di accoglienza nei primi anni della crisi migratoria, ha visto crescere il malcontento interno, con partiti di destra come Alternativa per la Germania (AfD) che hanno criticato duramente la gestione della crisi da parte della Commissione.

La situazione internazionale, sempre più complessa, evidenzia poi le fragilità della leadership europea (come potrebbe essere altrimenti con colei che già da ministra tedesca aveva registrato il peggior consenso). Da notare, inoltre, l’assenza totale di contatti ufficiali tra von der Leyen e l’amministrazione statunitense: il presidente Donald Trump, insediato da oltre tre mesi, non ha ancora incontrato la presidente della Commissione. A peggiorare il quadro, il Segretario di Stato Marco Rubio ha recentemente cancellato due incontri previsti con Kaja Kallas, Alto Rappresentante dell’UE per la politica estera, giunta appositamente a Washington. La motivazione ufficiale resta vaga: “conflitti di agenda”.

Insomma, difficile parlare di leadership europea in un tale contesto. Ma, come dimostra il caso della visita a Washington della Kallas (pagata con i soldi dei cittadini europei), questa Commissione europea può elargire miliardi di euro ai media europei per riproporre la solita (quanto stucchevole) narrazione europea ma, sui tavoli dei big player mondiali, non conta nulla.

foto Christophe Licoppe, European Union, 2022 Copyright Source: EC – Audiovisual Service