USA, al via la nuova politica tariffaria.
Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha annunciato una nuova politica tariffaria per riequilibrare il commercio internazionale e contrastare il persistente deficit commerciale degli USA. Con un ordine esecutivo, Trump ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale per affrontare le pratiche commerciali non reciproche di diversi Paesi, ritenute una minaccia alla sicurezza economica e nazionale degli Stati Uniti.
Secondo il provvedimento, gli USA imporranno dazi reciproci su importazioni dalla Cina (34%), dall’Unione Europea (20%) e da altre nazioni, tra cui Vietnam (46%), India (26%), Indonesia (32%) e Giappone (24%). L’obiettivo è rispondere ai disparati livelli tariffari e alle barriere commerciali che, secondo Washington, hanno indebolito il settore manifatturiero statunitense, reso vulnerabili le catene di approvvigionamento e aumentato la dipendenza economica da Paesi concorrenti.
Trump, nell’occasione, ha criticato il sistema commerciale globale, affermando che l’approccio seguito dagli USA dal dopoguerra in poi si basava su presupposti errati, come la convinzione che la liberalizzazione dei dazi avrebbe portato ad una maggiore convergenza economica tra i partner commerciali. Ha inoltre evidenziato che i dazi imposti dagli USA (3,3% in media) sono tra i più bassi al mondo, mentre Paesi come India (17%), Brasile (11,2%) e Cina (7,5%) applicano tariffe molto più elevate.
Il provvedimento si inserisce nella strategia della “America First Trade Policy”, volta a proteggere l’industria nazionale e ridurre il deficit commerciale. Trump ha dichiarato che gli Stati Uniti non tollereranno più squilibri nei rapporti commerciali e che i dazi introdotti mirano a ristabilire un sistema più equo e vantaggioso per l’economia americana.
L’amministrazione Trump, dunque, intensifica la battaglia contro le barriere non tariffarie, che limitano l’accesso delle esportazioni statunitensi ai mercati globali e aggravano il deficit commerciale. Nel National Trade Estimate Report 2025, vengono elencati numerosi ostacoli imposti dai partner commerciali degli USA, tra cui restrizioni all’importazione, regolamenti tecnici, ostacoli doganali, sussidi, pratiche anticoncorrenziali e protezionismo nei confronti delle imprese statali.
Secondo il rapporto, tali barriere creano squilibri strutturali, con economie che favoriscono le esportazioni e frenano i consumi interni, come nel caso di Cina (39% del PIL dedicato ai consumi), Germania (50%) e Corea del Sud (49%), rispetto al 68% degli USA. Tentativi di riequilibrare la situazione attraverso negoziati multilaterali sono falliti, con i partner che hanno bloccato riforme sui dazi e sulle barriere non tariffarie.
L’indebolimento della manifattura americana è una delle principali conseguenze, con la produzione industriale statunitense scesa dal 28,4% della quota globale nel 2001 al 17,4% nel 2023. La Casa Bianca sottolinea che la capacità produttiva va rafforzata nei settori strategici, come automobili, farmaceutica, microelettronica e difesa, per evitare una dipendenza critica dalle importazioni.
L’aumento delle tensioni globali, dalla pandemia agli attacchi dei ribelli Houthi alle rotte commerciali, ha dimostrato la vulnerabilità della catena di approvvigionamento americana. Trump insiste sulla necessità di un’industria forte e autonoma, capace di garantire la sicurezza economica e nazionale degli Stati Uniti senza dipendere da fornitori stranieri.
Dal 1997 al 2024, gli Stati Uniti hanno perso circa 5 milioni di posti di lavoro nel settore manifatturiero, subendo uno dei cali più significativi nella storia del paese. Questa perdita si è concentrata in alcune aree geografiche, dove ha contribuito al declino della formazione di famiglie e all’aumento di fenomeni sociali come l’abuso di oppioidi, che hanno avuto gravi ripercussioni sull’economia statunitense.
Il futuro della competitività americana dipende dal recupero di questi trend negativi. Oggi, il settore manifatturiero rappresenta solo l’11% del PIL, ma contribuisce al 35% della crescita della produttività e al 60% delle esportazioni. È anche il principale motore dell’innovazione, generando il 55% dei brevetti e il 70% degli investimenti in ricerca e sviluppo. Tuttavia, le aziende statunitensi affrontano numerosi ostacoli, tra cui barriere commerciali non tariffarie imposte dai partner commerciali, che indeboliscono la loro competitività globale.
Il deficit commerciale degli Stati Uniti è cresciuto notevolmente, raggiungendo 1,2 trilioni di dollari nel 2024, aggravando la perdita di capacità produttiva domestica, soprattutto nei settori critici come la difesa. Questi squilibri commerciali, derivanti dalle differenze nei tassi tariffari e dall’uso di barriere non tariffarie, riducono la capacità di esportazione e l’incentivo a produrre delle aziende americane.
In risposta a questa situazione, il presidente degli Stati Uniti ha dichiarato un’emergenza nazionale, annunciando una politica di dazi reciproci per riequilibrare il flusso commerciale globale. A partire dal 5 aprile 2025, verrà applicata una tassa aggiuntiva del 10% su tutte le importazioni, con aumenti per alcuni paesi specificati in un allegato all’ordine. L’obiettivo è rafforzare la capacità manifatturiera domestica e proteggere la sicurezza economica e nazionale degli Stati Uniti.
foto press.donaldjtrump.com