Un giovane su quattro parla dei propri problemi con l’Intelligenza Artificiale.
L’intelligenza artificiale non è più solo uno strumento per trovare risposte veloci o generare testi: per molti giovani è diventata una sorta di “confidente digitale”. Secondo un’indagine dell’Istituto Piepoli per Udicon (Unione per la Difesa dei Consumatori), un under 35 su quattro utilizza l’IA per parlare di problemi personali, confermando una tendenza che solleva interrogativi non solo sull’uso della tecnologia, ma anche sulle fragilità relazionali e sociali della generazione più connessa di sempre.
Il fenomeno interessa in particolare le donne (24%) rispetto agli uomini (8%), e riflette un approccio alla tecnologia che non si limita al lato funzionale, ma si intreccia con bisogni emotivi e psicologici. Una forma di supporto alternativo, a portata di clic, che pone questioni urgenti sulla solitudine e sulla crescente digitalizzazione dell’intimità.
Quanto alla fiducia, il 43% dice di crederci “spesso”, mentre solo l’11% si affida completamente alle risposte fornite. La maggioranza considera l’IA “utile” (22%) o “abbastanza utile” (57%).
Sorprendentemente basso il numero di chi dichiara di aver riscontrato problemi come errori o contenuti falsi (14% in totale), ma con un significativo divario generazionale: tra gli under 35 è il 35% ad aver notato criticità, contro appena il 7% degli over 54.
Non mancano però le ombre. Il 37% dei giovani teme una dipendenza psicologica dall’IA, una preoccupazione che scende al 27% se si guarda all’intera popolazione. I timori principali restano la sostituzione del lavoro umano (44%), la diffusione di informazioni sbagliate (38%), la manipolazione (38%) e la violazione della privacy (35%).
Ancora più delicato il tema dell’uso dell’IA in ambito sanitario: l’8% degli intervistati dichiara di utilizzarla “sempre” per autodiagnosi, il 19% “spesso”. Una pratica che fa riflettere, soprattutto se il 35% degli italiani ritiene che l’IA dovrebbe essere vietata o almeno limitata nel campo della salute.