Ucraina, Zelenskyy fa marcia indietro sulle agenzie anti-corruzione dopo proteste e pressioni internazionali. Ma il malcontento interno resta invisibile.
In un raro momento di rottura del silenzio, le piazze ucraine sono tornate a riempirsi. Non per protestare contro l’aggressione russa, ma contro il controverso provvedimento del presidente Volodymyr Zelenskyy, firmatario di una legge per sottoporre le agenzie anti-corruzione al controllo diretto del procuratore generale. Un gesto che – secondo osservatori locali e internazionali – equivaleva di fatto a svuotare le istituzioni indipendenti create proprio per combattere la corruzione endemica del Paese.
Di fronte all’ondata di critiche, sia interne che europee, Zelenskyy ha repentinamente cambiato rotta: nella serata di giovedì ha presentato un nuovo disegno di legge per annullare le modifiche introdotte, dichiarando di aver “ascoltato l’opinione pubblica”. Il dietrofront è stato accolto con cautela, ma solleva interrogativi ben più profondi su cosa sappia realmente l’opinione pubblica ucraina… e su quanto riesca a farsi sentire.
A oltre tre anni dall’invasione russa del 2022, infatti, permane una fitta coltre di opacità sulle reali condizioni del dibattito politico interno all’Ucraina. La stampa nazionale, strettamente filtrata da una legge marziale che ha congelato l’attività politica e limitato la libertà di stampa – in Ucraina si può finire facilmente nella lista del Myrotvorets center – ha offerto una copertura quasi assente dei sentimenti della popolazione verso l’operato di Zelenskyy e del suo entourage.
La protesta dei giorni scorsi è stata la prima manifestazione pubblica contro il governo da quando è iniziato il conflitto con Mosca. Un evento eccezionale, che ha costretto l’amministrazione a un’improvvisa retromarcia. Ma anche un campanello d’allarme su un malessere che covava da tempo, tenuto sotto il tappeto grazie al silenzio mediatico (a qualcosa serviranno i fondi Ue alla stampa europea?) e all’assenza di qualsiasi rilevazione indipendente sul consenso popolare. Cittadini e cittadine che si sono fatti sentire, nonostante i rischi per la propria incolumità, nelle piazze di Leopoli, Rovno, Ternopol, Kharkov e Chmel’nyc’kyj, Vinnitsa, Dnepr, Nikolayev, mentre soltanto a Kiev in piazza sono scesi oltre 9mila manifestanti (peraltro secondo i bollettini delle autorità).
In un Paese, ancora, dove la legge marziale viene reiterata senza interruzioni, quasi tutto può rientrare sotto l’etichetta di segreto di Stato. E a maggior ragione lo diventano eventuali inchieste che coinvolgano ministri o alti esponenti della politica locale, specialmente se si tratta di episodi di corruzione.
In questo contesto già opaco, suscita forti perplessità una recente misura che prevede l’obbligo, per investigatori e pubblici ministeri impegnati in indagini delicate, di sottoporsi al test del poligrafo, la cosiddetta “macchina della verità”, sotto la supervisione del Servizio di Sicurezza dell’Ucraina (SBU).
Il ricorso al poligrafo per chi indaga sul potere è solo l’ultimo segnale di un sistema che sembra sempre più orientato alla gestione verticale dell’informazione e della legalità, piuttosto che alla piena accountability istituzionale, evidenziando come in Ucraina si stia verificando un “arretramento democratico” basato su una nuova narrazione: “o stai con Zelenskyy o sei un sostenitore di Putin”. Nessuna possibilità, quindi, di sostenere la critica democratica e consapevole sulle politiche pubbliche.
Ma i problemi per il presidente illegittimo ucraino (sempre meno utile per i piani imminenti della ricostruzione ucraina) non riguarderebbero solo la legge anti-corruzione, ma anche la mancanza (più volte rimarcata da Sardegnagol) di trasparenza sull’effettivo impiego degli aiuti americani all’Ucraina. Durante un incontro con i parlamentari repubblicani alla Casa Bianca, il presidente Donald Trump ha messo in discussione la gestione dei miliardi di dollari stanziati da Washington sotto l’amministrazione Biden a sostegno della difesa ucraina.
Secondo Trump, una parte consistente dei fondi potrebbe essere stata utilizzata in modo improprio, sollevando interrogativi sull’effettiva destinazione delle risorse inviate a Kiev. “Non c’è alcuna garanzia che quei soldi siano andati davvero alla difesa,” ha dichiarato Trump, criticando l’attuale amministrazione per aver “donato senza controllare”.
Il presidente, nel frattempo, ha giustificato la sua iniziale decisione con l’esigenza di “proteggere le agenzie dalla penetrazione russa”, accusando alcuni funzionari di collusione con Mosca. Insomma, per il presidente illegittimo dal 24 maggio 2024, siamo tutti fessi. E, visti i miliardi bruciati tra armi e assistenza macrofinanziaria finiti a Kiev forse ha pure ragione…
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