Turismo in Sardegna: mancano i lavoratori o manca un’idea di futuro?
Ogni primavera, puntuale come il maestrale, si discute delle preoccupazioni degli/delle esercenti sardi/e sulla reperibilità delle risorse umane. Una ricerca spesso frustrante, vista la bellezza dell’isola e della fame di lavoro, per albergatori, ristoratori e gestori di stabilimenti balneari. E così, ancora una volta, la stagione turistica — che dovrebbe rappresentare una risorsa strategica per la Sardegna — si apre con l’ennesima emergenza annunciata.
Ma questa crisi, ormai strutturale, è davvero colpa solo dei lavoratori che “non hanno voglia di lavorare”? Sono da colpevolizzare gli/le esercenti nell’isola, come sostenuto dai tanti detrattori verso le presunte condizioni di ingaggio?Oppure andrebbe fatta una seria disamina circa l’assenza di politiche a sostegno dell’occupazione e dell’imprenditoria?
Criticità che si sommano alla condizione di insularità, che solo in Sardegna (e in poche altre isole del Mediterraneo) diventa un problema spesso insormontabile. Tra isolamento geografico, fragilità dei collegamenti, una stagionalità estrema e un sistema economico polarizzato (non parliamo dell’assurdo sistema fiscale italiano), mantenere in vita un’attività commerciale o ricettiva è una lotta quotidiana. Decisamente poco comprensibile da chi non ha mai gestito una beneamata…
Gli esercenti, in particolare, si muovono in un contesto ostile: le spese sono alte, i margini sono sempre più bassi e, di conseguenza, la programmazione è impossibile. Trovare personale disposto a trasferirsi per pochi mesi, spesso senza garanzie, non è facile. Eppure (contro ogni odds) nell’isola esistono molti imprenditori seri, che vorrebbero fare le cose per bene, ma sono abbandonati a sé stessi.
In parallelo, ancora, resta il tema delle regole di ingaggio per i lavoratori stagionali, fatto di orari estenuanti, contratti irregolari e salari sempre meno in linea con il costo della vita che, ricordiamolo, non aumenta di certo per le scelte imprenditoriali degli esercenti pubblici.
Si parla spesso di “rifiuto legittimo dello sfruttamento” dei/delle lavoratori/trici ma mai (valli a capire i limiti culturali dell’italiano/a medio/a) del diritto di impresa dell’imprenditore, visto sempre più come “il male assoluto” con l’obiettivo,celato ai più, di allargare il campo delle responsabilità alla classe politica incapace e al fisco italiano medioevale. Realtà che solo una partita IVA può comprendere. Decisamente non tra coloro che hanno il lusso (di questo bisogna parlare nel 2025) di avere un sostituto d’imposta.
La stessa politica regionale, mai citata in questo ambito conflittuale, che anziché occuparsi strutturalmente di questi problemi — dalla formazione professionale (quella seria però) alla mobilità, dall’housing temporaneo per i lavoratori all’incentivazione delle assunzioni regolari — si perde nei soliti giochi di potere. A dettare l’agenda politica regionale, infatti, non è la programmazione economica, ma la geografia delle lotizzazioni politiche, come dimostra plasticamente l’ennesimo commissariamento delle ASL, frutto di logiche spartitorie più che di un reale interesse per i servizi pubblici o la salute dei cittadini.
Lo stesso vale per il turismo: pochi strumenti efficaci, nessuna visione sistemica, tanti annunci. Si parla tanto di destagionalizzazione, di qualità, di attrazione dei flussi internazionali, ma nel frattempo non si affrontano le questioni fondamentali. Si pensa giusto alle “solite milionate” per il finanziamento delle solite “rassegne turistiche autoreferenziali”. La bassa politica, infatti, non può andare oltre schemi desueti e fallimentari.
Servirebbe, invece, un patto sociale, non iniziative calate dall’alto e di scarso impatto per il sostegno all’inclusione lavorativa dei sardi e del diritto di impresa nell’Isola.
Senza un cambio di passo — vero, strutturale, culturale — la Sardegna sarà ancora condannata a vivere ogni stagione turistica come un miracolo a metà. Gli esercenti continueranno a lamentarsi. I lavoratori continueranno a rifiutare proposte di lavoro o, peggio, ad accettare uno status di inattività. Mentre il turismo, una delle ricchezze dell’isola, resterà prigioniero della precarietà e dell’improvvisazione.
E finché non cambierà questo impianto paradigmatico, l’unica cosa veramente stagionale sarà il dibattito stanco e inconcludente sul perché “non si trova personale”.