Transizione digitale, occasione sprecata: l’Ue ha investito ma senza strategia.
L’Unione europea ha stanziato risorse senza precedenti per sostenere la ripresa economica dopo la pandemia, puntando su due pilastri: transizione verde e digitale. Ma se il Recovery and Resilience Facility (RRF), lo strumento principale per questo rilancio, ha garantito che almeno il 20% delle risorse nazionali fosse destinato al digitale, il vero impatto di questi fondi sulla trasformazione tecnologica del continente resta incerto. A dirlo è la Corte dei conti europea in una relazione pubblicata oggi, che parla apertamente di un’occasione mancata.
A fronte di una dotazione complessiva da 724 miliardi di euro, quasi 150 miliardi sono stati destinati alla digitalizzazione, rendendo l’RRF il maggiore strumento finanziario dell’UE per il settore. Tuttavia, la Corte segnala che l’allocazione dei fondi non ha seguito criteri strategici: molti Stati membri hanno investito in ambiti dove erano già forti, ignorando le aree più critiche.
“Tutti i Paesi hanno rispettato la soglia minima del 20%, ma senza una visione comune né un obbligo di intervenire sui propri punti deboli. Alcuni hanno rafforzato settori già performanti, perdendo di vista l’obiettivo principale”, ha dichiarato nell’occasione Ildikó Gáll-Pelcz, membro della Corte dei conti.
A mancare, secondo il rapporto, è stata una definizione chiara e condivisa di ‘transizione digitale’, lasciando così ai governi ampia libertà nell’identificazione delle misure. Il risultato? Una grande varietà di progetti, non sempre orientati al cambiamento strutturale del sistema digitale.
Non solo. Alla fine del 2024, secondo i dati ufficiali, gli Stati membri avevano implementato appena il 31% dei traguardi digitali previsti, con un ritardo di sei punti percentuali rispetto al calendario iniziale. Nei cinque Paesi oggetto dell’audit (Italia, Francia, Danimarca, Lussemburgo e Romania), quasi la metà degli obiettivi era in ritardo. Alcuni sono stati rinviati, modificati o addirittura sostituiti.
Un’altra delusione riguarda i progetti digitali multinazionali, pensati per rafforzare la cooperazione tra i Paesi Ue su infrastrutture e tecnologie chiave. Ma, su oltre 1.000 misure digitali finanziate, solo 60 hanno avuto una dimensione transnazionale, con un budget complessivo di appena 5 miliardi di euro – il 3,3% del totale.
Un segnale di quanto il breve orizzonte temporale dell’RRF mal si concili con la natura a lungo termine dei progetti digitali complessi.
Altro nodo critico è il sistema di monitoraggio. La Corte denuncia indicatori troppo generici, spesso focalizzati sulle attività realizzate più che sui risultati ottenuti. Inoltre, mancano standard comuni per la raccolta dei dati, con oltre il 60% delle misure esaminate privo di indicatori affidabili o comparabili.
Il risultato? È difficile capire se, come e quanto le riforme abbiano realmente accelerato la digitalizzazione in Europa.
foto rappresentanza Commissione in Italia