Svolta paradossale a Washington: via le sanzioni alla Siria governata dal terrorista Al Jolani.
In un’ordinanza presidenziale che ha già sollevato più di un sopracciglio tra i sostenitori dei diritti umani e dello Stato di diritto, gli Stati Uniti hanno ufficializzato la revoca di gran parte delle sanzioni economiche e commerciali contro la Siria, a partire dal luglio 2025. Un atto che, secondo la Casa Bianca, riconosce i “cambiamenti significativi” nel Paese dopo la caduta del regime di Bashar al-Assad. Ma a guidare questa nuova Siria è Ahmed al-Sharaa, nome reale del noto ex jihadista Abu Muhammad al-Jolani, già designato come terrorista globale dal Dipartimento di Stato.
Una figura che – fino a poco tempo fa – era sulla lista nera degli Stati Uniti, accusata di legami diretti con al-Qaeda e a capo del gruppo Hay’at Tahrir al-Sham. Oggi, quello stesso nome è associato a una presunta nuova stagione politica siriana, tanto da giustificare un’ondata di revoche, finanziamenti miliardari (erogati per esempio dall’Ue), deroghe e sospensioni di sanzioni che per anni avevano isolato Damasco a causa di crimini di guerra, uso di armi chimiche e persecuzioni religiose.
La motivazione ufficiale dietro questa svolta americana è che la Siria sarebbe ora “più stabile, unita e aperta al dialogo con i vicini”. Tuttavia, resta la realtà ben documentata delle persecuzioni contro minoranze cristiane e alawite che continuano a essere bersaglio di discriminazioni, arresti arbitrari e violenze. Nulla, in sostanza, indica che vi sia un cambio autentico sul fronte dei diritti umani.
Stupisce che un intero impianto sanzionatorio costruito negli anni in risposta a crimini di guerra, attacchi chimici e repressione violenta venga oggi smantellato così rapidamente, con il pretesto di una “nuova leadership”. Ahmed al-Sharaa, pur mantenendo un profilo istituzionale più sobrio, non ha mai rinnegato le sue azioni passate e resta legato, secondo analisti indipendenti, a una rete jihadista ben attiva nel nord della Siria.
Le nuove disposizioni – firmate da Donald Trump – revocano in particolare sei ordini esecutivi emessi tra il 2004 e il 2011, tra cui quelli che bloccavano i beni del governo siriano, sanzionavano ufficiali di alto livello e vietavano transazioni con soggetti legati a crimini contro l’umanità. Parallelamente, però, si mantengono attive sanzioni individuali contro membri del vecchio regime Assad e contro gruppi come ISIS.
La Casa Bianca giustifica la scelta come parte di una strategia per rafforzare la sicurezza regionale e contrastare la proliferazione del traffico di captagon e di altre sostanze stupefacenti. Eppure, non pochi osservatori vedono in questa svolta una pericolosa legittimazione di figure che, fino a ieri, erano considerate terroristi incalliti.
Nel documento, il Dipartimento di Stato è incaricato di rivedere anche la designazione della Siria come “Stato sponsor del terrorismo”, aprendo potenzialmente la strada al pieno reintegro di Damasco nei circuiti diplomatici e commerciali internazionali.
Una prospettiva che lascia perplessi molti analisti, considerando che nessun processo di riconciliazione nazionale è stato avviato, né risultano elezioni libere e trasparenti all’orizzonte. Il “nuovo corso” siriano sembra, a molti, più una necessità strategica per il contenimento dell’Iran e della Russia che una reale valutazione sul campo dei diritti umani.
La revoca delle sanzioni alla Siria non può che riaccendere, dunque, il dibattito sull’incoerenza della politica estera americana, capace di punire duramente regimi autoritari in alcuni casi e, in altri, chiudere un occhio – o entrambi – di fronte a leader con un passato terroristico. Mentre le minoranze siriane continuano a vivere nell’incertezza, il messaggio che rischia di passare è chiaro: non importa chi sei o cosa hai fatto, finché puoi garantire stabilità e “buoni affari” con l’Occidente.
foto Andreas H. da Pixabay.com