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Social-dipendenti e smartphone-maniaci: l’Italia affonda nella nomofobia.

Sono sempre online, incapaci di staccarsi dallo schermo neppure per dormire, mangiare o parlare con una persona in carne e ossa. I nuovi schiavi della connessione si chiamano nomofobici, e spesso non sanno nemmeno di esserlo. L’ossessione per il telefono – ribattezzata appunto nomophobia (da No Mobile Phone Phobia) – colpisce sempre più italiani, soprattutto giovani, e si traduce in ansia, isolamento, perdita di interesse per la realtà. Il tutto mentre si continua a scrollare e postare con l’illusione di essere ‘social’. Ma la verità è un’altra: siamo più soli e dipendenti che mai… oltre che meno interessanti.

A descrivere questo fenomeno che sta diventando una vera e propria emergenza psicologica sono Rosa Giuffrè e Giovanni Fasoli, autori del libro “Notte digitale”, un viaggio nel cuore oscuro della dipendenza da smartphone tra FOMO, vamping e phubbing.

Il ritratto è impietoso: c’è chi va nel panico senza caricabatterie, chi evita qualsiasi posto dove la rete non prende, chi controlla compulsivamente messaggi che non sono mai arrivati (fenomeno chiamato ringxiety), e chi arriva addirittura a indebitarsi pur di avere l’ultimo modello di telefono. E la notte? Guai a spegnere tutto: il cellulare resta acceso sul comodino, pronto a distrarci al minimo segnale. Insomma, le persone non stanno bene.

Il paradosso più grottesco? Queste persone – sempre online, costantemente distratte, iperconnesse – sono spesso le stesse che lamentano stanchezza mentale, vuoto relazionale e stress continuo, ma non collegano mai il problema al loro stile di vita. Troppo intenti a guardare uno schermo per accorgersene, con buona pace per lo sviluppo del pensiero critico.

Secondo gli autori, il profilo del nomofobico-tipo è quello di una persona insicura, con bassa autostima e difficoltà relazionali, che usa lo smartphone come stampella emotiva. Il risultato? Una catena di disturbi che vanno dall’ansia digitale fino a veri e propri attacchi di panico. Nei casi più gravi, si sfocia in alessitimia, ovvero l’incapacità di provare emozioni o entusiasmo, come zombi digitali in perenne standby.

La soluzione? Spegnere. Letteralmente. Tra i consigli proposti nel libro: staccare il Wi-Fi di notte, eliminare notifiche inutili, fissare momenti di digital detox, creare regole condivise in famiglia sull’uso dei dispositivi, e – paradossalmente – usare proprio le app per limitare l’uso delle app.

In un mondo che premia chi è sempre connesso, disconnettersi diventa un atto di ribellione (e di sanità mentale). Perché forse essere “fessi” oggi significa proprio questo: vivere solo online e credere che basti per essere vivi.

foto Gerd Altmann da Pixabay.com