Si chiude l’Anno europeo dei Giovani. Venerdì a Roma il ministro Abodi.

Volge al termine l’Anno europeo dei Giovani, l’iniziativa lanciata dalla Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen a sostegno della partecipazione giovanile in Europa. Annualità, come facilmente riscontrabile nella quotidianità dei giovani italiani, che ha prodotto ben pochi risultati tangibili, escludendo le stanchevoli (quanto autoreferenziali) attività istituzionali sull’importanza dei giovani per il futuro della nazione.

Sulla stessa linea, probabilmente, andrà ad iscriversi anche la cerimonia di chiusura “dell’Anno dei giovani”, in programma venerdì a Roma. Fa, però, ben sperare la partecipazione del ministro per lo Sport e i Giovani, Andrea Abodi che nelle prime battute del suo mandato, confermate nell’ultima audizione sulle linee programmatiche per la delega alle politiche giovanili, ha dichiarato di voler porre fine al cosiddetto “paradigma di politiche per i giovani” di scarso impatto, proponendo, peraltro, una nuova architettura di indirizzo per le politiche giovanili in Italia, sorretta, oltre che dal Dipartimento per il Servizio Civile Universale e le Politiche giovanili, dall’Agenzia Nazionale per la Gioventù (che prenderà il posto dell’attuale ANG) e dal Consiglio Nazionale per i Giovani.

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Indubbiamente, nel nostro Paese, bisognerà lavorare alacremente ed andare oltre la difesa di azioni pubbliche di scarso successo, come il finanziamento dei soliti portali informativi per i giovani, ultimo in ordine d’arrivo giovani2030.it . Si dovrà , inoltre, superare l’attuale centralizzazione delle decisioni da parte degli enti territoriali in materia di gioventù, partendo da una riformulazione dei requisiti previsti per la partecipazione degli stessi enti locali al Fondo Nazionale per le Politiche giovanili che, al momento, esclude ogni possibilità di coprogrammazione degli interventi con i giovani e le organizzazioni giovanili qualificate nelle diverse aree del Paese.

Si dovrà, infine, prendere una chiara posizione nei confronti della Commissione europea, al fine di rendere più accessibile la partecipazione dei giovani e delle organizzazioni giovanili ai programmi Erasmus+ e del Corpo europeo di Solidarietà. Inutile promuovere tali iniziative se, nei fatti, il processo è sempre più appannaggio di organizzazioni strutturate e meno di comitati informali con buone idee e poca esperienza, provenienti, in particolare, dalle cosiddette aree disagiate e rurali del Paese.

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