Europa

Sfide fiscali per l’Unione europea della difesa: come finanziare la crescita della spesa militare?

Dall’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia, gli Stati membri dell’UE, insieme ad altri partner europei, hanno riconosciuto la necessità di aumentare significativamente la spesa per la difesa. Questo aumento mette però sotto pressione i bilanci pubblici e apre un acceso dibattito sul ruolo della fiscalità nel sostenere questi investimenti.

Dopo l’aggressione russa, la spesa militare media degli Stati UE è passata dall’1,2% del PIL all’1,9% stimato per il 2024. Nonostante ciò, la guerra prolungata e le nuove sfide geopolitiche, insieme ai mutamenti nella politica estera statunitense, spingono verso un’ulteriore intensificazione degli sforzi di riarmo e del rafforzamento dell’industria della difesa europea. Questa necessità arriva in un momento di crescita economica contenuta, alti deficit e altre priorità di spesa concorrenti, come l’invecchiamento della popolazione e la transizione verde.

Per finanziare questa nuova realtà, si stanno valutando varie opzioni: emissione di debito comune o nazionale, riallocazione di fondi pubblici nazionali o europei e introduzione di nuove tasse o aumento di quelle esistenti. Poiché la situazione richiede soluzioni strutturali, l’Unione ha previsto una certa flessibilità nelle regole di bilancio tramite la cosiddetta “clausola di fuga nazionale”, che consente agli Stati membri di derogare temporaneamente ai vincoli fiscali per far fronte a circostanze eccezionali, come l’aumento della spesa militare, senza compromettere la sostenibilità fiscale complessiva.

In questo scenario la tassazione rimane uno strumento chiave. Gli Stati membri conservano ampie competenze per modificare il proprio sistema fiscale, scegliendo tra tasse dirette, come imposte sui redditi personali o societari, e tasse indirette, come IVA o accise, bilanciando oneri fiscali e preferenze politiche nazionali. Oltre all’introduzione o all’aumento di imposte, rafforzare la lotta contro l’evasione e migliorare la riscossione potrebbero aumentare significativamente le entrate: l’UE stima infatti una perdita annua di circa 89 miliardi di euro di gettito IVA.

Alcuni Paesi hanno già adottato misure specifiche per finanziare la difesa. In Estonia, per esempio, è stata approvata una legge sulla “tassa di sicurezza” che prevede un aumento dell’IVA dal 22% al 24% da luglio 2025 e una sovrattassa del 2% su redditi personali e profitti societari a partire dal 2026, anche se il nuovo governo ha annunciato l’intenzione di abolirla. La Lettonia ha introdotto un contributo solidale obbligatorio per gli istituti di credito fino al 2027. In Lituania, un pacchetto fiscale approvato nel 2024 ha aumentato le aliquote dell’imposta sulle società, le accise su alcol, tabacco e carburanti e prolungato il contributo solidale delle banche.

La rapidità con cui i sistemi fiscali possono adattarsi a richieste improvvise di gettito resta però un tema critico. Le modifiche all’imposta sul reddito sono generalmente introdotte con l’inizio dell’anno fiscale, mentre l’adeguamento delle aliquote IVA può essere implementato con maggiore flessibilità. Tuttavia, aumenti dell’IVA possono sollevare preoccupazioni per il loro effetto regressivo, mentre tasse sanitarie o ambientali, pur generando risorse immediate, potrebbero risentire di cambiamenti nei comportamenti dei contribuenti.

Oltre a garantire finanziamenti sostenibili, è fondamentale rafforzare la base industriale della difesa europea, con benefici indiretti anche sul gettito fiscale e sull’attività economica generale. In questo contesto, il Consiglio dell’UE ha invitato la Commissione a presentare entro fine settembre 2025 una tabella di marcia per semplificare la compliance fiscale, eliminare normative obsolete e migliorare la chiarezza delle leggi fiscali, creando un ambiente più favorevole agli affari, anche per il settore della difesa.

Dato il ruolo cruciale della ricerca e sviluppo per l’industria militare, sarà poi essenziale che gli incentivi fiscali per l’R&D siano efficaci e facili da gestire, a sostegno dell’innovazione tecnologica.

Sul fronte dell’IVA, la normativa europea prevede in generale l’applicazione dell’imposta su beni e servizi forniti alle autorità di difesa. Tuttavia, esistono esenzioni specifiche: per esempio, l’articolo 151(1) della direttiva IVA esenta le forniture alle forze armate di uno Stato NATO stazionate in un altro Stato membro, coinvolte in operazioni congiunte; esenzioni si applicano anche a progetti di difesa coordinati dall’Agenzia Europea per la Difesa e agli acquisti effettuati tramite il nuovo strumento finanziario SAFE, che con 150 miliardi di euro punta a sostenere la produzione industriale militare europea.

In un contesto geopolitico complesso e una crisi economica che impone scelte difficili, l’Europa si trova dunque a un bivio: trovare un equilibrio tra la necessità di aumentare la spesa militare e quella di mantenere la stabilità fiscale e sociale.

foto Nato.int