Europa

“Scegliere l’Europa per la scienza”: un piano ambizioso, ma l’UE saprà davvero trattenere i talenti?

In un momento in cui la ricerca scientifica è sempre più determinante sul tavolo geopolitico e finanziario, l’Unione Europea prova a rilanciare la propria attrattività con l’iniziativa “Scegliere l’Europa per la scienza”, lanciata lo scorso 5 maggio dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen durante un evento alla Sorbona. L’obiettivo? Attrarre in Europa i migliori ricercatori e scienziati da tutto il mondo, in particolare quelli provenienti dagli Stati Uniti e dai Paesi asiatici.

Ma l’Europa ha davvero le carte in regola per competere con le potenze globali nel trattenere e valorizzare il talento scientifico?

La Commissione promette misure concrete: 500 milioni di euro per il triennio 2025-2027, una super sovvenzione settennale all’interno del Consiglio europeo della ricerca (CER), il raddoppio degli incentivi per i ricercatori che scelgono l’Europa e un progetto pilota da 22,5 milioni di euro per attrarre giovani talenti con le azioni Marie Skłodowska-Curie.

Sono cifre importanti, ma appaiono modeste se confrontate con gli investimenti mastodontici di Stati Uniti e Cina. E soprattutto, si scontrano con problemi strutturali ben noti: burocrazia soffocante, frammentazione tra gli Stati membri, carenza di percorsi di carriera chiari per i ricercatori, stipendi poco competitivi rispetto ad altri mercati internazionali.

Non c’è dubbio che il momento scelto per l’annuncio sia strategico. Negli Stati Uniti, il presidente Trump ha proposto tagli drastici al budget scientifico: –37% ai NIH, –53% alla NASA, –50% alla NSF, provocando una levata di scudi da parte della comunità accademica. In questo contesto, l’UE cerca di proporsi come rifugio sicuro per la libertà di ricerca.

Tuttavia, il rischio è che questa operazione si limiti a capitalizzare sulle crisi altrui senza affrontare davvero i limiti interni dell’Ue. Perché se è vero che il contesto europeo offre stabilità istituzionale e una certa protezione della libertà accademica, non è meno vero che molti giovani scienziati europei continuano a cercare fortuna altrove. La “fuga dei cervelli”, peraltro, è un problema tutt’altro che risolto.

La Commissione, ancora, rilancia con gli slogan, come ricorda la promessa di una legge europea per la libertà della ricerca e una strategia per start-up e scale-up per rendere l’ecosistema dell’innovazione più accessibile e competitivo. Ma senza una radicale semplificazione delle procedure di finanziamento e un miglioramento delle condizioni di lavoro nei centri di ricerca europei, il rischio è che l’attrattività resti sulla carta. Senza contare l’inaccessibilità “delle opportunità europee” per i giovani dei 27 Paesi membri, ai quali l’accesso all’impresa è di fatto negato in assenza di risorse proprie o garanti. E a ben poco possono servire i “paraculi contributi a fondo perduto”…

Insomma, tra annunci e implementazione c’è spesso un abisso in Europa. Nulla di nuovo.

In sintesi, l’iniziativa “Scegliere l’Europa per la scienza” parte con nobili intenti e risorse promettenti, ma la vera sfida sarà tradurre queste promesse in una reale attrazione e permanenza dei talenti. Perché, a conti fatti, ciò che trattiene i migliori ricercatori non sono solo gli incentivi per gli expat, gli assegni più generosi o i proclami politici, ma la possibilità di fare ricerca libera, stabile e sostenuta nel tempo e in presenza di una Unione dove gli Stati puntano alla crescita e alla lotta alla burocrazia. E, su questo fronte, l’Europa ha ancora molto da dimostrare.