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Sa Die de sa Sardigna: una festa senza popolo.

Anche quest’anno, come da calendario, il 28 aprile la Sardegna si ferma per commemorare Sa Die de sa Sardigna, la “Festa del popolo sardo”. Scuole chiuse, uffici pubblici inattivi, qualche manifestazione istituzionale sparsa tra Cagliari, Sassari e i centri maggiori (una vera festa dell’identità sarda, insomma). Ma per molti, moltissimi, sarà semplicemente un giorno di ponte, una scusa per una gita fuori porta o per restare a casa.

E allora la domanda sorge spontanea: cosa stiamo festeggiando? E soprattutto, perché questa giornata – che ambisce a rappresentare il sentimento identitario di un’intera isola – è avvertita da così pochi sardi come una ricorrenza davvero sentita?

I fatti storici che Sa Die dovrebbe commemorare – la cacciata dei piemontesi da Cagliari nel 1794 – sono per molti ancora avvolti nella nebbia. Non se ne parla nelle scuole, non si approfondiscono nei media, non sono entrati nell’immaginario collettivo. Il risultato? Una festa simbolica, ma priva di contenuto (come altre d’altronde), nonché una data caricata di retorica autonomista ma incapace di incidere nel presente.

Eppure, la Sardegna avrebbe tutte le ragioni del mondo per celebrare la propria identità. La lingua, le tradizioni, la musica, il rapporto con la terra: sono elementi vivi, quotidiani, che resistono da secoli. Ma quando il tentativo di fare memoria si riduce a una giornata formale e poco partecipata, il rischio è di svuotare anche quei simboli che ancora parlano davvero della e alla comunità.

La verità è che Sa Die soffre di una profonda ambiguità. Da un lato, viene rivendicata come festa del popolo sardo, dall’altro è stata istituzionalizzata dalla Regione con toni più celebrativi che partecipativi. La stessa regione che, rimanendo nel perimetro dei valori, continua a svilirli alla luce del sole, elargendo ad ogni assestamento di bilancio e manovra finanziaria milioni di euro per lo sviluppo socio-economico dell’isola.

Forse è arrivato il momento di ripensarla. Non cancellarla, ma darle un nuovo senso. Restituirle profondità, coinvolgimento, attualità. Farla uscire dai palazzi e riportarla nelle piazze, nei paesi, nelle scuole. Perché una festa identitaria senza partecipazione è solo una giornata persa. E la Sardegna merita molto di più di una bandiera tirata fuori una volta l’anno per poi essere dimenticata il giorno dopo.

foto Sardegnagol, riproduzione riservata