Romania, il voto rilancia l’onda nazionalista e no Ue: Simion domina il primo turno, sfida al ballottaggio con il filo-europeo Dan.
In Romania, il nazionalismo anti-UE torna prepotentemente al centro della scena politica europea. George Simion, leader del partito ultra-conservatore e sovranista AUR, ha infatti conquistato il primo turno delle elezioni presidenziali con oltre il 40% dei voti, staccando nettamente tutti gli altri candidati.
Spetterà ora al sindaco di Bucarest, il riformista e filo-europeo Nicusor Dan, la missione impossibile per allontanare i sovranisti dal governo della nazione nel ballottaggio del 18 maggio. Ma la distanza nei voti è ampia e il margine di rimonta stretto. Alle sue spalle, Antonescu – sostenuto dal governo Psd-Pnl-Udmr – ha mancato di poco il secondo turno, confermando la frattura anche all’interno dell’elettorato moderato.
Con quasi tutte le schede scrutinate, però, l’estrema destra romena non solo conferma il trend emerso nel voto annullato di novembre, ma lo rafforza, in un contesto dove l’Unione Europea, oggi, può fare ben poco per contrastare un messaggio politico chiaramente ostile alle sue istituzioni. Simion, infatti, non nasconde le sue posizioni anti-UE e anti-NATO, e ha incassato il sostegno dell’ex presidente americano Donald Trump, di cui è fervente sostenitore.
Un successo che arriva in un momento di forte tensione geopolitica e mentre l’UE affronta difficoltà crescenti nel contenere il consenso per i movimenti euroscettici, non solo in Romania. E ora, con l’ingresso al ballottaggio di un candidato che ha fatto della rottura con Bruxelles un cavallo di battaglia, la Romania si avvicina a un possibile punto di svolta nella sua politica estera.
A rendere il quadro ancora più cupo per le istituzioni europee, la presenza al seggio, accanto a Simion, di Calin Georgescu – il candidato delle presidenziali annullate per presunte interferenze russe – e le parole del leader dell’AUR che ha evocato una “giustizia per la Romania” e promesso di “restaurare la democrazia”.
Con un’affluenza del 53,16% – superiore rispetto al voto di novembre – e una mobilitazione record della diaspora (oltre un milione di votanti all’estero), il risultato finale rimane parzialmente aperto. Ma un dato è già certo: il messaggio euroscettico e radicale ha raccolto un consenso senza precedenti. E per l’Unione Europea, il risultato del primo turno rappresenta una sconfitta strategica che sarà difficile da contenere.