Protesti in calo nel 2023.
Nel 2023 si conferma la tendenza al ribasso dei protesti in Italia, sia in termini numerici che di valore. Secondo i dati elaborati dall’Istat su base Infocamere, i protesti iscritti nel Registro informatico sono stati 225.024, in diminuzione dell’11,8% rispetto all’anno precedente. Il valore complessivo dei titoli di credito protestati ha sfiorato i 239 milioni di euro, registrando una leggera flessione dell’1,2%.
Le cambiali, che rappresentano l’89,2% del totale dei titoli protestati, ammontano a oltre 200.000 unità per un valore di quasi 157 milioni di euro. Gli assegni, pur essendo solo il 10,8% dei casi, incidono economicamente in modo significativo: circa 82 milioni di euro. In calo anche il numero di soggetti protestati, che si attesta a 61.845 (-12,7% rispetto al 2022), con una prevalenza di persone fisiche (70,4%) rispetto alle imprese (29,6%).
Il fenomeno dei protesti, in Italia, continua così la sua discesa di lungo periodo. Da quando, alla fine degli anni Venti, il fenomeno iniziò a essere registrato sistematicamente, il numero ha oscillato fino a raggiungere picchi superiori ai 16 milioni alla fine degli anni Sessanta. Il progressivo calo iniziato negli anni Settanta si è accentuato negli ultimi decenni: i protesti si sono ridotti sotto il milione nel 2014 e sotto i 500.000 nel 2018. Il livello attuale rappresenta un quinto di quello del 2013, primo anno della serie storica attuale.
I dati del 2023 riflettono una dinamica ormai consolidata. L’incidenza dei protesti risulta in diminuzione in tutte le aree geografiche, con le contrazioni più marcate nelle Isole (-16,8%) e nel Nord-ovest (-16,7%). Meno accentuato il calo nel Sud, che registra un -6,3%.
A livello territoriale, il ricorso alle cambiali è più frequente nelle Isole, dove si contano 155 cambiali ogni 1.000 abitanti, ma il tasso di protesto è tra i più bassi. Al contrario, nel Nord-ovest, dove le cambiali sono meno usate (78 ogni 1.000 abitanti), si registra la quota più elevata di protesti (quasi 50 ogni 1.000 cambiali emesse). Gli assegni sono invece più diffusi al Centro e nelle Isole, ma presentano tassi di protesto più alti al Centro (1,0 ogni 1.000 emessi).
Il calo dei protesti si lega anche a un più generale cambiamento nei metodi di pagamento: l’utilizzo di titoli cartacei come cambiali e assegni è in progressiva discesa. Tra il 2022 e il 2023, le cambiali emesse sono calate dello 0,4%, mentre gli assegni hanno registrato una contrazione più marcata, del 14,1%. Anche i rispettivi tassi di utilizzo sono in calo, a conferma della crescente digitalizzazione dei sistemi di pagamento.
Il protesto di una cambiale avviene prevalentemente per la mancata ricezione di istruzioni da parte del domiciliatario, una motivazione che rappresenta l’85% dei casi. Per quanto riguarda gli assegni, la causa principale resta la mancanza di fondi, seguita dall’assenza di autorizzazione e da firme non conformi.
Dal punto di vista demografico, le persone protestate sono in prevalenza uomini (62,3%), con un’età media di 49 anni. Il tasso di protesto è più alto tra i nati all’estero, quasi doppio rispetto agli italiani. Anche tra le imprese, che rappresentano circa il 30% dei soggetti protestati, la tendenza al calo è confermata, con una riduzione dell’11%.
Infine, aumenta leggermente la recidività. Oltre il 60% dei soggetti protestati ha ricevuto più di un protesto nel corso dell’anno, con una media di 3,6 protesti per soggetto. Un dato che suggerisce una concentrazione del fenomeno su un numero relativamente ridotto di attori economici, spesso in difficoltà strutturale.
In sintesi, il quadro che emerge dai dati 2023 mostra un’Italia che ricorre sempre meno a strumenti come cambiali e assegni e che, quando lo fa, tende a onorare più puntualmente i propri impegni. I protesti, fenomeno un tempo molto diffuso, sembrano ormai relegati a una nicchia del sistema economico, colpendo soprattutto fasce già fragili della popolazione e del tessuto imprenditoriale.
foto MEF