Pagine di Quarantea: Borges e il rimedio all’insonnia.

Colto ed erudito, ironico e cosmopolita Borges, scrittore argentino, nonché uno dei più grandi autori della letteratura ispano-americana del Novecento è in grado di trascinarci nei suoi volteggi letterari realizzabili grazie alla sua vastissima cultura e al suo fine ragionamento. A questo proposito chi amasse la saggistica potrebbe addentrarsi in Storia dell’eternità, opera che, nella riflessione di temi senza risposta per l’uomo, è composta con un approccio filosofico ma non quello di un filosofo professionale: si muove tra gli scaffali della sua memoria e raccoglie spunti dalle sterminate opere da lui conosciute. Pone enigmi a cui non è data soluzione e non convince il lettore di averne trovato una – come più facilmente farebbe un filosofo. Sembra condurre il lettore in una danza sopraffina e giocosa, al ritmo di una musica lirica e solenne.

Perché ritengo necessario partire da questo punto è per un solo motivo: l’accusa di asetticità cade di fronte a tutti i rimandi interni che sono inclusi nella raccolta Finzioni che, con L’Aleph, anche secondo le parole dell’autore – ‹‹sono i miei libri migliori›› dichiarò – sono celebratissimi. Questo perché, come anche nel saggio citato in apertura, Borges vive i libri e la cultura in modo vivo, elaborando i contenuti in maniera originale ed è questo ad animare i suoi passi nello scrivere. Per convincersi di questo è utile evocare la sua storia, il suo essere figlio di grandi proprietari e in particolare focalizzandoci sul padre per una ragione che sarà presto chiarissima: egli infatti era avvocato ma insegnava anche psicologia in inglese. Nella sua biblioteca, il figlio leggeva con passione libri che saranno importantissimi per lui, per esempio le Mille una Notte, Stevenson, Wells, Twain, Platone, i presocratici, Omero, Ovidio, le antiche mitologie. A questa educazione e cultura cosmopolita si aggiungerà la decisione paterna di trasferirsi in Europa in un periodo tra il 1914 e il 1921, periodo infausto che a causa della Prima guerra mondiale lo porterà a restare in Svizzera, a Ginevra, in cui per quattro anni Borges frequenterà il Collège Calvin. La decisione del padre fu dettata dalla ricerca di cure efficaci per il suo problema agli occhi, la vista indebolendosi lo avrebbe destinato alla cecità, come avverrà infatti e alla sua morte, Borges, che rimarrà a vivere con sua madre, troverà un piccolo incarico in una biblioteca rionale.

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Dopo anni, gli verrà offerto l’insegnamento universitario in letteratura anglosassone mentre per la direzione della Biblioteca Nazionale dovrà attendere il 1955 ormai cieco a causa della malattia ereditata dal padre, dopo la caduta del dittatore Peron. Borges infatti l’aveva pubblicamente osteggiato dando mostra del suo mancato appoggio e della sua avversione. Oltre alle onorificenze, riceverà inviti a tenere corsi universitari e conferenze, che accettò graditi, viaggiatore e cittadino del mondo qual era. Nel racconto Il giardino dei sentieri che si biforcano, egli scrive: ‹‹Pensai che un uomo può essere nemico di altri uomini, di altri momenti di altri uomini, ma non di un paese; non di lucciole, parole, giardini, corsi d’acqua, tramonti››.

Tale racconto appena citato, pubblicato per la prima volta nella raccolta omonima nel 1942 e poi confluito in Finzioni, consente di mettere a fuoco uno dei simboli più ricorrenti nella concezione di Borges, l’immagine del labirinto che nasce come molte altre nella Biblioteca del padre, in cui si trovava un’incisione a riguardo. Per Borges, affascinato dalla labirintica Buenos Aires, il labirinto è il mondo ed è persino il nostro ritratto quando appena prima di morire le nostre strade sono state già tracciate, percorse, delineate.

Anche il libro è un simbolo per lui rilevante e già si è intuito come i libri abbiano fatto parte della sua vita, in ogni modo possibile, interiorizzati, animati, messi a frutto nella sua creatività. Per lui il mondo è un libro di cui siamo le parole, un libro labirintico e intricato. E Finzioni, il suo libro è anch’esso un labirinto in cui perdersi.

Finzioni, pubblicato nel 1944, contiene i racconti scritti tra il 1935 e il 1944. Racchiude due raccolte: Il giardino dei sentieri che si biforcano e Artifici. Ma è nell’edizione del 1956 che verranno aggiunti tre racconti: La fine, La setta della fenice e Il Sud.

Il Sud, dal Postscriptum del 1956, secondo le sue parole ‹‹forse il mio miglior racconto››, è pertanto suo prediletto ed è posto strategicamente in posizione finale della raccolta. Fa riferimento ad un incidente casalingo il quale dopo una setticemia che mise a rischio la sua vita, gli procurò l’insonnia. Bellezza di questo racconto è la duplice lettura: una versione realistica, potremo dire, e una onirica che emerge anche da determinati indizi nel testo, in una tessitura d’ambiguità che emerge dalla classica semplicità del suo stile. Fu influenzato da Henry James, fra i tanti, come maestro nell’arte dell’ambiguità. Un’aria sospesa tra realtà e sogno si unisce a un altro fatto curioso che suggerisce un rovesciamento di quella preminenza della letteratura che pervade tutta la raccolta in varie forme: il trauma è provocato da Le Mille e una notte, uno dei libri da lui amati e un’opera di un’importanza letteraria memorabile e imprescindibile ed è anche ciò che finge di leggere per sottrarsi allo scontro. In questo, c’è forse il desiderio segreto dell’autore di liberarsi dagli schemi che gli vengono sovrapposti e al suo destino di uomo dei libri.

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Tuttavia, in che modo la raccolta si ricollegherebbe alla vittoria su quell’inauspicabile incombenza che talvolta ci affligge, ovvero l’insonnia? Tornando indietro al Prologo di Artifici, la seconda parte della raccolta, Borges fa riferimento a Funes, l’uomo della memoria, definendolo una ‹‹lunga metafora sull’insonnia››, di cui sappiamo soffrì in seguito all’incidente cui fa riferimento il racconto Il Sud e anche Pierre Menard, autore del Don Chisciotte, presente invece nella prima parte della raccolta Finzioni. Facendone un rapido accenno, quest’ultimo brano è un esempio di bibliografia immaginaria, non unico nella raccolta, che rivela da un lato una celata malinconia nel constatare che ogni scritto letterario è riscrittura e dall’altro il tocco abile di Borges che con sottile intelligenza, come in altri racconti, crea una sapiente oscillazione tra narrativa e saggistica, in una commistione che nella sua vitalità mai diventa vuota e di maniera. Quest’ultimo racconto lo scrisse anche per saggiare effettivamente la sua riacquistata lucidità mentale dopo l’incidente, la setticemia e l’insonnia. E sempre ricollegandoci a Funes, l’uomo della memoria, la forma con cui Borges definisce l’insonnia è il fluire inarrestabile dei ricordi. Chi ha mai provato questa sensazione, probabilmente comprenderà quel momento in cui la mente diventa iper-reattiva e ripercorre i sentieri della memoria o il corso di pensieri ormai fuori controllo che si concatenano incespicando l’uno sull’altro impedendoci di dormire, in un ennesimo labirinto che si avvita implacabile. Borges per ovviare a questo tormento trova la sua catarsi nella scrittura narrativa.

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In particolare, in Funes, l’uomo della memoria, riflette sulla possibilità della conoscenza attraverso le considerazioni di Funes sulla sua memoria totale che ricorda ogni cosa; in questo si profila il futuro dell’umanità destinata a conoscere ad un certo punto tutto. Funes fa riferimento ad un nuovo sistema di numerazione originale in cui ogni numero è associato a una parola. Mi pare che qui si sottenda un richiamo a La Biblioteca di Babele, un altro racconto della raccolta, in cui, sull’influsso del suo lavoro di bibliotecario e di Kafka, ritrae un incubo: un edificio in cui si trovano infinite combinazioni di lettere e il tentativo di sistemarle creando una biblioteca senza fine. Anche qui ritorna, il malinconico concetto a cui già accennato: ‹‹La certezza che tutto sia scritto ci annulla o ci rende dei fantasmi››. Che sia vero o no, che il richiamo sia questo o un altro, i richiami collegano e rimandano ciascuno ad un altro racconto, creando una struttura comunicante e labirintica, tocco sottile a sostegno della finzione e della contaminazione dei generi, narrativa e saggistica.

In conclusione, la brillante raccolta di Borges offre coi suoi temi variegati l’opportunità a ciascun lettore di trovare il suo angolo di ristoro in quel che una volta salvò il grande autore dalla stessa maledizione.

Giulia Pinna

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