Europa

Outlook economico UE: l’ultima fase dei piani di ripresa nazionali tra sfide e incertezze.

Nel pieno di un contesto economico segnato da incertezze e da una crescita contenuta, l’attuazione dei piani di ripresa (tra i quali il PNRR italiano) finanziati dall’Unione europea procede a velocità diverse tra i Paesi membri. Per evitare ritardi e criticità, la Commissione europea ha avviato un processo di semplificazione e razionalizzazione dei Piani nazionali di ripresa e resilienza (Pnrr).

Secondo gli ultimi dati, i pagamenti legati al programma Next Generation EU hanno raggiunto i 423,7 miliardi di euro, circa il 60% delle risorse disponibili. Rispetto a giugno, l’incremento di 46,3 miliardi deriva in gran parte dal RRF, con versamenti consistenti a Spagna e Italia, che hanno portato l’assorbimento della componente prestiti dal 38,2% al 48,6%.

Molti fondi, ricordano Alessandro D’Alfonso, Martin Höflmayr e Giulio Sabbati, autori di un lavoro di indagine per il Parlamento europeo, risultano concentrati nell’ultimo anno di attuazione (entro dicembre 2026), a causa della complessità dei progetti, delle continue revisioni dei Pnrr e dei ritardi accumulati. Una situazione che mette a rischio, come più volte evidenziato su Sardegnagol, il pieno utilizzo delle risorse.

L’esperienza del NGEU ha già influenzato la proposta della Commissione per il prossimo bilancio pluriennale 2028-2034 da 2.000 miliardi di euro. Nel suo rapporto sulla competitività europea, Mario Draghi ha sottolineato l’urgenza di investimenti comuni, quantificati dalla BCE in 1.200 miliardi l’anno fino al 2031, in settori strategici come innovazione, tecnologie di scala, difesa, ricerca e infrastrutture energetiche.

Nel primo semestre del 2025, il Pil dell’Ue è cresciuto dell’1,6% (+1,5% nell’eurozona) rispetto allo stesso periodo del 2024, trainato dalle esportazioni verso gli Stati Uniti. L’Irlanda si distingue come eccezione, con un balzo del 18% grazie al settore farmaceutico, che ha distorto la media europea: senza Dublino, la crescita si sarebbe fermata all’1,1%.

Il quadro rimane fragile: l’indice di fiducia economica è sceso a 95,2 in agosto, e se la manifattura mostra ancora segnali positivi, le tensioni commerciali con Usa e Cina continuano a pesare.

Le divergenze restano marcate anche nel lungo periodo: dal 2019 al 2025, il Pil dell’eurozona è salito del 6%, ma con differenze abissali tra Paesi. Germania (+0,1%) e Finlandia (+0,2%) sono ferme, mentre Malta (+33,7%), Cipro (+24%) e Croazia (+22,8%) registrano espansioni record. L’Irlanda guida la classifica con quasi +49%.

L’inflazione nell’Ue si è stabilizzata al 2,4% in agosto (2% nell’eurozona), in linea con l’obiettivo della BCE. L’energia resta deflattiva e il rincaro alimentare è in calo. Le stime indicano un’inflazione media al 2,1% nel 2025, con il rischio di undershooting nei prossimi anni. La BCE ha lasciato invariati i tassi a settembre, con Christine Lagarde che ha ribadito: “Il processo disinflazionistico è concluso”.

Tuttavia, la volatilità politica pesa sui mercati: in Francia i rendimenti decennali hanno raggiunto i livelli italiani dopo la caduta del governo Bayrou, sollevando dubbi sulla trasmissione della politica monetaria. Lagarde ha escluso scenari di tensione sistemica.

Nel primo trimestre 2025, ancora, il deficit pubblico si è attestato al 2,9% del Pil sia nell’eurozona sia nell’Ue, mentre il debito ha toccato rispettivamente l’88% e l’81,8%. Grecia e Cipro mostrano cali significativi, mentre Romania, Finlandia e Francia hanno visto salire i loro rapporti debito/Pil.

Parigi, con l’attuale situazione politica, resta sorvegliata speciale: senza un piano credibile di consolidamento, l’aumento dei rendimenti potrebbe peggiorare la situazione fiscale e pesare sulla crescita complessiva dell’eurozona.

Il commercio con Stati Uniti e Cina, inoltre, evidenzia dinamiche opposte. Con Washington, l’Ue ha registrato nel 2024 un surplus di quasi 200 miliardi di euro, trainato da farmaceutica, macchinari e auto. Tuttavia, il saldo positivo è ridotto dal deficit energetico e da quello nei servizi. L’accordo commerciale Ue-Usa ha attenuato le tensioni, ma rimane ancora un quadro politico, privo di dettagli operativi.

Con Pechino, invece, il deficit commerciale ha toccato i 305,8 miliardi nel 2024, complice l’aumento delle importazioni e il calo delle esportazioni europee. Le nuove tariffe americane potrebbero dirottare ulteriori flussi verso l’Europa, aggravando lo squilibrio ma al tempo stesso attenuando l’inflazione.

foto Mediamodifier da Pixabay.com