Mentre Washington frena, Bruxelles accelera: l’Europa vara il 17° pacchetto di sanzioni contro Mosca e alza il livello dello scontro.
In un momento delicatissimo per gli equilibri internazionali, e all’indomani di una telefonata dai toni distensivi tra Donald Trump e Vladimir Putin, l’Unione europea sceglie la linea dura e impone il 17° pacchetto di sanzioni contro la Russia. Un’azione che appare in netta controtendenza rispetto alla cautela mostrata dagli Stati Uniti, intenzionati a non offrire ulteriori pretesti a favore di un’escalation militare. Washington, infatti, sembra voler tenere aperti spiragli di dialogo, evitando nuove pressioni che potrebbero cristallizzare le posizioni e tagliare definitivamente i ponti con Mosca.
Bruxelles, al contrario, prosegue nella sua strategia muscolare, spingendo sull’isolamento economico e tecnologico della Russia. L’adozione del nuovo pacchetto sanzionatorio – il più ampio dall’inizio del conflitto – segna un ulteriore passo verso l’inasprimento del confronto. Un’Europa che, a molti osservatori, appare più interessata a riaffermare la propria rilevanza geopolitica che a promuovere una reale de-escalation, dando così l’impressione di voler avvelenare i pozzi diplomatici nel timore di restare esclusa da eventuali tavoli negoziali.
La nuova stretta sanzionatoria voluta da Ursula e soci, colpirà settori chiave dell’economia russa, con un focus particolare sulla cosiddetta “shadow fleet” – la flotta di petroliere che consente a Mosca di aggirare le restrizioni sull’export energetico. Sono ben 189 le nuove imbarcazioni inserite nella blacklist europea, accompagnate dal blocco dei porti e dal divieto di fornire servizi. Vengono inoltre aggiunte 75 nuove entità e individui alla lista dei soggetti colpiti, inclusi attori militari, industriali e perfino coinvolti nel saccheggio del patrimonio culturale ucraino. Si estende anche la morsa tecnologica, con restrizioni su componenti di precisione e materiali chimici considerati essenziali per l’industria bellica russa.
La Commissione europea rivendica, però, l’efficacia delle misure adottate, sottolineando il crollo delle entrate energetiche russe – passate da 100 a 22 miliardi di euro in due anni – e l’erosione della capacità produttiva interna del Cremlino. Ma al di là dei numeri (e dei numerosi casi di elusione delle sanzioni attraverso i Paesi terzi), è il tempismo politico a far rumore: l’adozione di nuove sanzioni proprio mentre negli USA si moltiplicano i segnali di un possibile cambio di approccio verso la Russia, rafforza l’impressione di un’Europa che spinge sull’acceleratore del conflitto per non perdere il proprio ruolo negoziale.
In un contesto in cui la diplomazia richiede cautela e visione strategica, l’Unione europea sembra scegliere la linea del confronto, in un gioco rischioso che, invece di costruire ponti, potrebbe finire per incendiare gli ultimi varchi rimasti verso una soluzione politica della crisi.
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