Livolsi: “La strategia di Trump non funzionerà, l’Europa guardi verso Asia e Africa”.
L’introduzione dei dazi imposti dall’amministrazione Trump è una mossa che, secondo Ubaldo Livolsi, Corporate Finance e fondatore della Livolsi & Partners, rischia di destabilizzare il commercio globale senza portare alcun vantaggio concreto agli Stati Uniti. Le nuove tariffe, entrate in vigore il 2 aprile, colpiscono pesantemente tutte le principali economie mondiali: 10% per il Regno Unito, 20% per l’Unione Europea e ben 54% per la Cina. Gli effetti sono stati immediati: nelle 24 ore successive, i mercati hanno registrato perdite colossali, con 422 miliardi di euro evaporati dalle Borse europee e 2.000 miliardi di dollari bruciati a Wall Street. In totale, tra giovedì e venerdì scorsi, la ricchezza globale distrutta ha superato i 6.600 miliardi di dollari, tre volte il PIL dell’Italia.
Secondo Livolsi, la strategia di Trump di smantellare le filiere globali e ricostruirle all’interno dei confini statunitensi è irrealistica: “Le imprese manifatturiere hanno investito decenni nella creazione di catene di fornitura integrate e altamente efficienti. Ricollocare tutto in America richiederebbe anni, costi altissimi e una manodopera altamente qualificata che spesso non esiste”, spiega. La politica economica, invece, potrebbe svolgere un ruolo cruciale nel migliorare la situazione, puntando su una maggiore domanda interna, incentivi agli investimenti e una gestione più attenta del cambio.
Livolsi avverte anche che l’Europa rischia di pagare il prezzo del protezionismo con un handicap interno: “Alcuni Paesi come la Germania hanno margini fiscali per sostenere la domanda e le imprese, ma altri, come l’Italia, sono vincolati da un debito elevato e regole fiscali che rendono difficili interventi espansivi”, sottolinea. La risposta europea deve essere coordinata, ma soprattutto intelligente, evitando di seguire passivamente quanto accade negli Stati Uniti.
Il professore non esita a ribadire che “il mondo non finisce tra Bruxelles e Washington”. I mercati emergenti, come quelli dei BRICS (Brasile, India, Cina e Sudafrica), dell’Africa e del Sud-Est asiatico, sono i nuovi orizzonti da esplorare per l’economia europea. “Dobbiamo portare i nostri prodotti, la nostra qualità e la nostra intelligenza industriale in queste regioni”, afferma Livolsi, enfatizzando la necessità di un “vero salto culturale” per avere successo all’estero.
Prendere ad esempio il Prosecco in Cina evidenzia come non sia sufficiente esportare un buon prodotto: “In Cina, il vino rosso è dominante e le bollicine non sono ancora parte della tradizione locale”, spiega Livolsi. Tuttavia, ricorda, le preferenze possono cambiare. Un esempio lampante è Starbucks, che ha conquistato la Cina, un paese con una tradizione millenaria di consumo di tè, introducendo una nuova cultura del caffè con oltre 6.500 punti vendita nel paese.
Per l’Italia, il segreto per conquistare questi nuovi mercati risiede nell’investire in marketing, estetica, narrazione e storytelling. “Non basta vendere il prodotto, bisogna raccontare un’esperienza”, conclude Livolsi, invitando le imprese italiane a prepararsi per una nuova era di export e innovazione culturale.
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