Libertà d’espressione e lotta alla mafia: TikTok nel mirino per il blocco dell’account di Salvatore Borsellino.
Il caso di Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso dalla mafia Paolo Borsellino, torna ad accendere i riflettori sul delicato equilibrio tra libertà di espressione e moderazione dei contenuti nelle grandi piattaforme digitali. Il suo account TikTok, utilizzato per diffondere messaggi di sensibilizzazione contro la criminalità organizzata, è stato oscurato fino al 2035, una misura che ha sollevato pesanti critiche e interrogativi a livello europeo.
La vicenda appare ancor più controversa se si considera che, nello stesso contesto, diversi account continuano a diffondere impunemente contenuti apologetici nei confronti di personaggi mafiosi o inneggianti alla violenza, senza incorrere in restrizioni simili. Una disparità che ha portato l’eurodeputato Giuseppe Antoci (The Left) a presentare un’interrogazione alla Commissione europea, denunciando un possibile doppio standard nella gestione dei contenuti da parte di TikTok e chiedendo un rafforzamento dei controlli previsti dal regolamento sui servizi digitali (DSA).
Nella risposta ufficiale del 4 luglio, la Commissione ha ribadito che la libertà di espressione è un diritto fondamentale garantito dalla Carta dei diritti dell’UE e che proprio il DSA è stato introdotto per assicurare che lo spazio digitale europeo rispetti tali diritti. TikTok, in quanto piattaforma online di dimensioni molto grandi, è soggetta a obblighi particolarmente rigorosi: deve predisporre strumenti accessibili per segnalare contenuti illegali e condurre valutazioni dei rischi sistemici che includano l’impatto delle proprie pratiche sulla libertà di espressione.
Tuttavia, la responsabilità della sorveglianza operativa – ha precisato Bruxelles – ricade anche sui coordinatori dei servizi digitali (CSD) nazionali, che nel caso dell’Italia è l’AGCOM. A loro spetta il compito di monitorare i casi come quello di Borsellino e decidere se avviare azioni correttive. Gli utenti, infine, possono rivolgersi anche a organismi indipendenti per la risoluzione delle controversie in caso di decisioni contestate dalle piattaforme.
Un caso, dunque, che solleva una questione di fondo ancora aperta: chi vigila sulla trasparenza degli algoritmi e sull’effettiva imparzialità delle misure adottate dalle big tech nel gestire la voce pubblica? Una domanda che, al di là del singolo episodio, tocca il cuore della democrazia digitale in Europa.