L’Europa rincorre nella corsa tecnologica: troppa burocrazia, pochi risultati.
In un’epoca in cui la supremazia tecnologica globale si gioca tra Washington e Pechino, l’Unione europea sembra ancora arrancare. E lo fa nonostante piani ambiziosi, programmi miliardari e dichiarazioni solenni sulla “sovranità digitale”. A sollevare il caso in Parlamento europeo sono gli eurodeputati Harald Vilimsky e Georg Mayer (Identità e Democrazia), che in un’interrogazione scritta alla Commissione mettono in discussione l’efficacia delle politiche europee in materia di tecnologia e innovazione.
Il primo nodo sollevato riguarda l’impatto economico dei cosiddetti progetti “faro” gestiti centralmente da Bruxelles: centinaia di miliardi di euro in sussidi pubblici distribuiti negli anni, il cui ritorno concreto – in termini di competitività, occupazione e leadership tecnologica – appare ancora incerto.
Dalle infrastrutture cloud europee ai progetti sull’intelligenza artificiale, passando per i programmi legati alla microelettronica, il sospetto è che molti finanziamenti siano più guidati da logiche ideologiche o politiche che da una reale efficacia strategica.
Un secondo punto critico riguarda la crescente pressione da parte di Bruxelles affinché ogni iniziativa tecnologica rispetti parametri rigidi legati alla sostenibilità ambientale e alla parità di genere. Obiettivi condivisibili in linea teorica, ma che – sottolineano i firmatari dell’interrogazione – spesso finiscono per rallentare o compromettere progetti innovativi.
La critica è rivolta, in particolare, alla tendenza dell’UE a condizionare finanziamenti e approvazioni a criteri ESG (ambientali, sociali e di governance), anche in settori dove la priorità dovrebbe essere il progresso tecnologico e la competitività industriale.
Infine, Vilimsky e Mayer puntano il dito contro uno dei paradossi più evidenti della strategia europea: nonostante anni di proclami sulla necessità di “sovranità tecnologica”, l’UE è ancora fortemente dipendente da infrastrutture extraeuropee per quanto riguarda cloud, data center e cybersicurezza.
A quasi dieci anni dal lancio dell’iniziativa GAIA-X, pensata per sviluppare un’architettura europea del cloud, i grandi operatori restano Amazon, Microsoft e Google, con i player europei relegati a ruoli marginali. E mentre il dibattito interno si concentra su regole e governance, la concorrenza globale corre veloce.
L’interrogazione mette a nudo, di fatto, un problema strutturale: l’ambizione europea è spesso frenata da una macchina decisionale lenta, iper-regolamentata e ideologicamente rigida. In un mondo dove innovazione significa anche rapidità e flessibilità, la sfida per Bruxelles è rivedere i propri modelli di intervento: meno centralismo, più concretezza, meno ideologia, più strategia.