Lavoro, il paradosso italiano: più istruzione, meno valore.
In Italia si studia di più, ma si guadagna meno. È questa la fotografia impietosa del mercato del lavoro che emerge dal nuovo report “Il mismatch di qualifiche nel mercato del lavoro italiano”, elaborato da Area Studi Legacoop in collaborazione con Prometeia. Lo studio evidenzia un dato strutturale: tra il 2011 e il 2022, il livello medio di istruzione dei lavoratori italiani è aumentato sensibilmente – passando da 11,3 a 12,6 anni di formazione – ma il sistema produttivo non si è adeguato. Le imprese continuano a richiedere profili a bassa o media qualificazione, generando un crescente disallineamento tra domanda e offerta. Come si può allora aumentare la produttività in Italia e spingere la crescita dei salari?
A pagare il prezzo più alto di questo squilibrio sono soprattutto i giovani. Nel 2022, la percentuale di lavoratori sovraqualificati tra i 25-29enni era superiore di oltre 7 punti rispetto ai colleghi tra i 60 e i 65 anni. In altre parole, chi entra oggi nel mercato del lavoro ha studiato di più, ma finisce troppo spesso in ruoli che non valorizzano il proprio percorso formativo. Un fenomeno che, oltre a deprimere le retribuzioni, rischia di alimentare una spirale di frustrazione, disillusione e fuga di cervelli.
Giovani, dunque, che studiano di più guadagnando meno. Nulla di nuovo in un mercato del lavoro italiano ancora incapace di valorizzare le competenze, alimentando di fatto un mismatch strutturale tale da ridurre la competitività del Paese, scoraggiare le nuove generazioni e aggravare le disuguaglianze.
Il mismatch ha effetti diretti anche sulle buste paga. Secondo l’analisi, ogni anno di studio “in eccesso” rispetto a quanto richiesto dal ruolo viene retribuito il 33% in meno rispetto al valore che avrebbe se perfettamente allineato. Peggio ancora se si ha un “deficit” formativo: ogni anno mancante si traduce in un rendimento negativo del 50%. Insomma, chi ha più competenze di quelle richieste guadagna meno e chi ne ha di meno viene pesantemente penalizzato.
Dal 2015, la domanda di lavoro in Italia è cresciuta soprattutto in settori con alta incidenza di surplus di istruzione, ma dove le competenze continuano a non essere riconosciute. Nel primo trimestre 2023, il tasso di posti vacanti in questi comparti era del 2,3%, più alto della media degli altri settori. Ma non perché manchino i candidati: il problema è che il mercato non sa – o non vuole – impiegare le competenze che i lavoratori hanno maturato.
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