La “pink tax” sotto la lente dell’UE.
La discriminazione di prezzo basata sul genere, nota come “pink tax”, torna al centro del dibattito europeo. In diversi contesti nazionali, infatti, continuano ad essere applicati prezzi più elevati per i prodotti destinati alle donne.
Secondo una ricerca tedesca del 2017 su oltre 1.500 articoli, articoli come shampoo, rasoi, deodoranti, integratori e vestiti risultano spesso più costosi per le donne, nonostante le differenze si limitino al colore o al packaging. Un fenomeno che rappresenta una forma di discriminazione indiretta, vietata dall’articolo 4 della Direttiva 2004/113/CE, che sancisce la parità di trattamento tra uomini e donne nell’accesso a beni e servizi.
La Commissione europea, intervenuta attraverso la commissaria Hadja Lahbib, ha riconosciuto che la normativa esistente vieta esplicitamente la discriminazione diretta e indiretta tra i sessi, anche in ambito commerciale. Tuttavia, ha sottolineato come l’applicazione concreta di tali norme spetti in primo luogo agli Stati membri, dato che la portata del fenomeno può variare da Paese a Paese.
Per il futuro, Bruxelles guarda oltre l’attuale strategia per la parità di genere (2020–2025) e ha già avviato i lavori preparatori per la definizione della prossima agenda post-2025. Tra le iniziative in corso, fanno sapere dalla Commissione europea, figurano studi affidati a reti di esperti, all’OCSE e all’Istituto Europeo per l’Uguaglianza di Genere (EIGE), oltre a una consultazione pubblica prevista per la primavera 2025. L’obiettivo è valutare le lacune normative esistenti e capire se vi siano margini per rafforzare la direttiva in vigore, anche per affrontare più direttamente fenomeni come la “pink tax”.
La Commissione, dunque, non esclude future azioni legislative, ma sottolinea che ogni intervento ricade sulla responsabilità degli Stati membri.
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